La Nuova Sardegna

LA GRANDE LEZIONE DEI SOLESIN

di MICHELA MARZANO

di MICHELA MARZANO* Perdere un figlio o una figlia è forse il dolore più grande che possa toccare un essere umano. Quello che lascia senza parole e che spezza il mondo. Quello per cui non esiste...

17 novembre 2015
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di MICHELA MARZANO*

Perdere un figlio o una figlia è forse il dolore più grande che possa toccare un essere umano. Quello che lascia senza parole e che spezza il mondo. Quello per cui non esiste nemmeno un termine specifico. Perdi un marito e sei “vedova”. Perdi una madre e sei "orfana". Ma se perdi una figlia cosa sei? Come si fa a nominare l’innominabile?

Nell’antico sanscrito, si diceva che i genitori cui moriva un figlio o una figlia erano “vilomahed”, dalla parola “vilomah” che significa “caos”, “disordine”, “contrario all’ordine delle cose”. E in fondo è proprio questo che accade quando si perde un figlio o una figlia: nonostante la vita continui, e debba continuare, si è devastati da un dolore senza senso, senza ragione, senza fine.

Quello stesso dolore che solcava ieri il viso della mamma di Valeria Solesin, Luciana Milana, e che le faceva tremare la voce. Quello stesso dolore, però, che nemmeno per un istante ha portato questa madre a lasciarsi andare alla scompostezza e al clamore.

«Porteremo sempre nel cuore nostra figlia nel suo essere», ha dichiarato Luciana. «Quello che preme a me e a mio marito è il ricordo di nostra figlia che era una persona meravigliosa», ha detto. «Una figlia, una persona, una cittadina e una studiosa meravigliosa».

Ai genitori di Valeria, forse, non importa altro. Un giorno si appurerà pure quello che è successo e si farà chiarezza. Ma non è questo che conta. L’unica cosa che importa, a Luciana Milani e ad Alberto Solesin, è il ricordo dell’essere meraviglioso della figlia. Un ricordo che nemmeno per un istante li ha fatti cedere all’impulso di mettersi in scena o di trasformare la propria sofferenza in uno show.

È così, molto probabilmente, che sono abituati a vivere i genitori di Valeria. Con dignità. Con umanità. Con senso civico. Dando a tutti noi una vera e propria lezione di civiltà. Proprio nel momento in cui la violenza e il terrore di alcuni islamisti radicali vorrebbero imporre la barbarie e farci dimenticare che ciò che rende possibile la convivenza umana è l’accettazione reciproca e l’umiltà, questa famiglia reagisce al dolore più grande ricordandoci che nessuno dovrebbe arrogarsi il diritto di rubarci la nostra libertà di uomini, donne e cittadini.

Nelle loro parole non c’è alcuna volontà di suscitare l’altrui empatia. Ma non c’è nemmeno quella di istigare alla vendetta. In un’epoca di voyerismo, in cui si scrutano i visi e ci si riempie della sofferenza o dell’odio altrui, talvolta solo per colmare il vuoto interiore che ci si porta dentro, questa famiglia ci permette di capire che è solo costruendo una società in cui ognuno possa vedere garantiti i propri diritti, tanto quelli civili e politici, quanto quelli economici e sociali, che si potrà rendere omaggio a Valeria, ricordandone non solo il lavoro universitario, ma anche quello accanto ai barboni di Parigi.

Conoscere e attraversare la realtà nelle sue mille sfaccettature, quindi. Senza cedere alla violenza del terrorismo che distrugge e che, se alimentata dalla vendetta e dall’odio, non potrà mai venire meno. Lo diceva già Freud: . la violenza non potrà mai essere eliminata del tutto, ma può essere contenuta. E l’unico modo per contenerla è ricordarsi che non c’è umanità senza pudore e senza compassione.

*Ordinario di Filosofia morale all’Università di Parigi

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