La Nuova Sardegna

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«Lavoriamo per aiutare le nostre famiglie in Pakistan»

«Lavoriamo per aiutare le nostre famiglie in Pakistan»

SASSARI. «Noi non siamo terroristi, siamo venuti qui per lavorare e i soldi li mandiamo alle nostre famiglie in Pakistan. Abbiamo comprato una casa in zona militare. Se avessimo avuto qualcosa da...

18 dicembre 2015
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SASSARI. «Noi non siamo terroristi, siamo venuti qui per lavorare e i soldi li mandiamo alle nostre famiglie in Pakistan. Abbiamo comprato una casa in zona militare. Se avessimo avuto qualcosa da nascondere non saremmo certo andati a vivere a fianco a una caserma».

Hanno occhi lucidi, sguardo commosso sempre rivolto verso quel fratello, marito, cognato che non vedono da tanto tempo: Sultan Khan. Lui – considerato il capo della cellula italiana di Al Qaeda – da dietro le sbarre ricambia il sorriso e unisce le mani in segno di preghiera. Conosce per la prima volta, dentro quell’aula di tribunale, il figlio che ha un mese e mezzo di vita. Sua moglie, giovanissima, glielo mostra da lontano e piange. Non parla l’italiano.

«Non è più la stessa da quando Sultan è stato arrestato – racconta sua cognata – gli altri figli le chiedono sempre dov’è il loro padre. Vogliono sapere perché quel giorno la polizia lo ha portato via e nessuno di noi sa cosa rispondere». Si agitano, i familiari di Sultan, mentre cercano di far capire che tutto è frutto di un grosso equivoco: «Colpa di quelle traduzioni – spiegano riferendosi alla trascrizione delle intercettazioni – Si sono affidati alle persone sbagliate. Comunque ora abbiamo fiducia nella giustizia e siamo certi che la verità verrà fuori. A Olbia ci conoscono e ci vogliono bene. Qualcosa vorrà pur dire». (na.co.)

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