La Nuova Sardegna

Al Qaeda, battaglia sulle intercettazioni

di Giampiero Cocco
Al Qaeda, battaglia sulle intercettazioni

L’Imam: errori nell’interpretazione delle traduzioni. Il dirigente della Digos: le indagini sono durate dieci anni

27 febbraio 2016
3 MINUTI DI LETTURA





SASSARI. Sono stati necessari dieci anni di indagini per sgominare la cellula italiana di Al Qaeda. Lo ha spiegato ieri il dirigente della Digos di Sassari, il vicequestore Mario Carta nel tratteggiare l’organigramma della organizzazione terroristica d’ispirazione islamica, attribuendo il ruolo di capo e finanziatore del gruppo a Sultan Wali Khan, il commerciante di Peshawar, (Pakistan) trasferitosi nel 2005 a Olbia, mentre la veste religiosa e integralista l’ha cucita addosso all’imam di Bergamo Hafiz Muhammad Zulfikal, il quale predicava la Jjahd (la guerra santa)reclutando seguaci in nome di Osama Bin Laden (lo sceicco saudita ucciso dai Navy Seal americani), tra quanti seguivano le sue predicazioni durante le cinque preghiere quotidiane. Un quadro fosco fatto di sanguinosi attentati in Pakistan (5, tra i quali quello spaventoso del mercato di Peshawar, che provocò oltre 100 morti tra i quali una ventina di bimbi) alle scuole di polizia del paese islamico e alle sue infrastrutture strategiche, come centrali elettriche e i tralicci. L’appartamento di via Spensatello e il negozio di chincaglieria Mondo Bazar di Olbia erano le due basi operative dal quale venivano programmati e diretti attentati e assassinii. La rete di moschee e sale di preghiera disseminate in Italia e in Norvegia, Belgio, Svezia era invece funzionale alla raccolta di danaro, attraverso donazioni e collette, per finanziare le scuole coraniche in patria. Infine l’immigrazione clandestina, un affare che portava ulteriori finanziamenti alla cellula terroristica. Accuse basate su sussurri e chiacchiere tra gli undici indagati e le decine di persone rimaste nell’ombra, interlocutori noti e sconosciuti che parlavano Urdu e Pashtu, i due dialetti diffusi tra Pakistan e Afganistan.

Mario Carta ha risposto alle domande del Pm Danilo Tronci, il magistrato che ha coordinato la complessa indagine, interrotto a più riprese dalle istanze di opposizione del nutrito collegio difensivo. Sultan Wali Khan, per la prima volta da quando è finito sotto processo, ha chiesto la parola per fare dichiarazioni spontanee. Il presunto capo terrorista, che ha citato più volte il dirigente delle Digos, ha respinto ogni accusa sostenendo che gli errori commessi dagli investigatori hanno una triplice origine: la scarsa conoscenza del territorio pakistano «portate una cartina in aula – ha detto –, e dimostrerò come si fa confusione tra paesi e città distanti tra loro anche trecento chilometri». Sultan Khan ha poi sostenuto che molte delle sigle mediorientali che gli investigatori ritengono siano organizzazioni terroristiche «altro non sono che partiti politici locali, molti dei quali al governo del mio paese». Infine il commerciante mediorientale ha insistito sulla errata traduzione di quanto registrato nelle migliaia di ore di intercettazioni telefoniche e ambientali.

Anche l’imam Hafiz Muhammad Zulfikal ha voluto dire la sua, ricordando alla corte «che i miei incontri con quello che le accuse definiscono un capo terrorista (un imam saudita a capo di una setta religiosa) sono avvenute in Arabia Saudita e in Italia pubblicamente, in città importanti come Pisa. Il resto sono soltanto sbagli interpretativi dei traduttori». Tanto che su questo punto il collegio difensivo ha chiesto alla Corte, presieduta da Pietro Fanile, che ai periti nominati dal tribunale fossero affiancati altrettanti traduttori in lingua Pashtu e Urdu, l’idioma parlato dai loro clienti. Un impianto accusatorio indiziario, dunque, poggiato su una interminabile sequela di intercettazioni ambientali e telefoniche avviate nel 2005, quando l’imam di Bergamo venne bloccato nel porto di Olbia su una utilitaria che, stando alle perizie merceologiche, aveva trasportato esplosivo e poi proseguite nel 2009, per concludersi nel 2012. L’ ascolto continuo delle frasi sussurrate o delle minacce che, di volta in volta, venivano proferite da Sultan Khan e dai suoi affiliati avrebbe fornito agli investigatori lo spaccato di una cellula terroristica pronta ad agire anche in Italia.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

In Primo Piano
Turismo

In Sardegna un tesoretto di 25 milioni dall’imposta di soggiorno: in testa c’è Olbia

di Salvatore Santoni
Le nostre iniziative