La Nuova Sardegna

I fratelli di Furcas: «Il dolore non passa, la ferita resta aperta»

di Stefano Ambu
I fratelli di Furcas: «Il dolore non passa, la ferita resta aperta»

CAGLIARI. Indossano tutti la maglietta rossa. Un colore forte che vuol dire anche speranza. Speranza che prima o poi si sappia la verità. Sulla t-shirt una scritta che fa venire i brividi: hashtag e...

10 aprile 2016
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CAGLIARI. Indossano tutti la maglietta rossa. Un colore forte che vuol dire anche speranza. Speranza che prima o poi si sappia la verità. Sulla t-shirt una scritta che fa venire i brividi: hashtag e «Io sono 141». Centoquarantuno, uno in più di 140, il numero delle vittime che morirono nell’incidente della Moby Prince davanti al porto di Livorno. Sulla schiena un’altra scritta: «Verità e giustizia sul Moby Prince». Elia e Maria Rosaria Furcas, fratello e sorella, sono arrivati da Silius per dire ancora una volta, in occasione della cerimonia di commemorazione in aula consiliare a Cagliari, ecco ci siamo. Siamo pronti. Ad aspettare e a combattere. Non vogliono riflettori su di loro. Ma cercare la verità per quel fratello, Daniele Furcas, che si stava ricostruendo una vita con il ritorno in Sardegna. E invece su quel traghetto, appena partito, ha trovato la morte, a 33 anni. Insieme a sua moglie, Gabriella Soro, 30 anni non ancora compiuti. È passato un quarto di secolo, ma Maria Rosaria, solo nel ricordare quello che è successo, si dispera ancora. Gli occhi, inevitabilmente, si riempiono di lacrime. «Daniele e Gabriella – rammenta– erano una bella coppia, sposati da appena due anni. Stavano in Toscana, ma, per scelta di vita, avevano deciso di ripartire dalla Sardegna. Quello era il loro viaggio di ritorno a casa. Pensi che avevano già spedito i mobili in Sardegna. Quando i mobili sono arrivati nell’isola, loro non c’erano più».

Momenti tragici. «Nostra madre – racconta – aveva saputo tutto dal telegiornale. Mio padre le diceva: non è vero, non è vero. E invece, purtroppo era proprio vero». E ora rimane la voglia di combattere. «Abbiamo aspettato – spiega Elia – e aspetteremo ancora. Il dolore rimane, ma vogliamo sapere: noi siamo convinti che ci siano delle cose che non ci sono state dette. E noi, queste cose, abbiamo il diritto di conoscerle». Livorno, un porto che non si dimenticherà mai. «Quello che non riusciamo a capire – continua il fratello di Daniele Furcas – è come sia potuta succedere una cosa del genere: come è possibile immaginare che una manovra di routine, con tanti accorgimenti sulla sicurezza in atto, sia potuta finire in una maniera così tragica? Non è una situazione comune. Anzi ci sembra, per come ci è stata prospettata, una situazione unica. Ripeto: siamo convinti che bisogna continuare a insistere per vederci più chiaro». Grande fiducia nella commissione parlamentare di inchiesta. Gli occhi si illuminano. «Sì, ci sembra che stia andando nella direzione giusta. Abbiamo il diritto di sapere».

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