La Nuova Sardegna

Si dovrà dire "sindaca" e "prefetta": stop al linguaggio sessista negli atti della Regione

Il Consiglio regionale sardo
Il Consiglio regionale sardo

È una delle novità contenute nella nuova legge sulla semplificazione, approvata dal consiglio regionale, promotrice la consigliera del Centro democratico Anna Maria Busia

12 ottobre 2016
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SASSARI. «Sindaca», «consigliera», «prefetta», «assessora», «commissaria»: da ora la comunicazione istituzionale della Regione Sardegna dovrà declinare ruoli e professioni al femminile. Lo prevede, in un articolo dedicato allo sviluppo delle politiche di genere e alla revisione del linguaggio amministrativo, la legge sulla semplificazione appena approvata. E se qualcuno avrà da storcere il naso perché «suona male», dovrà vedersela con la professoressa Cecilia Robustelli dell'Accademia della Crusca che, per complimentarsi, ha chiamato la consigliera e autrice dell'emendamento passato in Consiglio regionale, Annamaria Busia del Centro democratico, affermata avvocata penalista.

Del resto, spiega lei stessa, «perché avvocata è brutto e invece maestra e impiegata no? La verità è che il nome del mestiere declinato al femminile diventa cacofonico nella misura in cui si avanza di livello nella scala professionale».

Solo questione di abitudine, dunque. Il tempo non manca: l'Amministrazione avrà sei mesi dall'entrata in vigore della legge per adottare «un linguaggio non discriminante rispettoso dell'identità di genere, mediante l'identificazione sia del soggetto femminile che del soggetto maschile negli atti amministrativi, nella corrispondenza e nella denominazione di incarichi, di funzioni politiche e amministrative».

La stampa il suo dovere l'ha fatto: «Le indicazioni in tal senso sono state recepite in modo facile e sorprendente, da un momento all'altro, tanto che nessuno si sognerebbe mai, adesso, di parlare di sindaco Raggi», sottolinea Busia. Se oggi il linguaggio di genere è nell'agenda politica, «molto del merito - spiega - è della presidente della Camera, Laura Boldrini, della sua battaglia per affermare che identificare la professione o il ruolo di una donna utilizzando il termine al maschile è un mancato riconoscimento, una forma sottile di discriminazione».

Del resto le parole sono importanti, «definiscono e sono evocative delle cose e delle persone - chiarisce la consigliera - Non per niente il diritto ad essere riconosciuti per quello che è il proprio nome è un diritto costituzionale». Busia ha ricevuto anche il plauso della presidente della Camera, «con la quale lo scorso maggio a Pescina - ricorda - ho presentato la proposta di legge sulla tutela delle vittime del femminicidio». Occasione giusta per raccontarle dell'adeguamento approvato in Sardegna. Ma la consigliera non si ferma: «Ho già presentato una proposta di legge per modificare la Severino e introdurre le fattispecie che riguarda i reati sessuali contro le donne».(Roberto Murgia)

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