La Nuova Sardegna

Torri, castelli e nuraghi la Regione sfida lo Stato

di Silvia Sanna

Si riapre la partita delle dismissioni demaniali. L’iter è fermo dal 2008

31 gennaio 2017
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SASSARI. Ci sono castelli e torri, ma anche fari, nuraghi e chiese. È un lungo elenco di beni di valore storico, artistico e archeologico che già 9 anni fa sarebbero dovuti rientrare in possesso della Regione. Questo era il piano, messo nero su bianco nell’accordo di programma siglato il 7 marzo del 2008 con l’Agenzia del Demanio. Un anno dopo sull’isola della Maddalena si sarebbe dovuto svolgere il G8. Anche per questo la Regione – presidente era Renato Soru – accelerò il pressing, riuscendo a rientrare in possesso di diverse strutture militari nell'arcipelago. Non solo: fu anche l’occasione per scattare una fotografia accurata del patrimonio demaniale sull’isola, con un occhio di riguardo verso gli immobili di valore culturale. Il risultato è riportato in un allegato all’accordo di programma che elenca 93 beni in predicato di tornare “a casa”. Da allora sull’accordo è calato il silenzio. E il passaggio dei beni alla Regione è saltato, proprio come il G8 alla Maddalena.

Beni da restituire. Ora la Regione ci riprova. Il nastro si riavvolge e si ritorna indietro di 9 anni, quando tutto iniziò e si fermò. L’assessore agli Enti locali Cristiano Erriu riparte dalla commissione paritetica, cioè dall’organismo che dovrà stabilire se i beni elencati possono cambiare “padrone”. La commissione è composta da quattro componenti, due nominati dal governo e due dalla Regione. Per trasferire castelli e nuraghi occorre il loro nulla osta. Solo allora la Regione potrà ragionare sulle ipotesi di valorizzazione e riqualificazione «in accordo con le Soprintendenze e i Comuni», spiega Erriu, e aprendo le porte anche ai privati.

Dai castelli ai nuraghi. I beni sono distribuiti lungo l’intero territorio regionale. Cinque i castelli: il Castello della Fava a Posada, Malaspina a Bosa, il castello di Burgos, di Acqua Fredda a Siliqua, il Castello di Gioiosa Guardia a Villamassargia. Dieci le torri, tra le quali la torre di Mariano II a Oristano, la torre di Fertilia, la torre di Cala Regina a Quartu e di San Giovanni alla Caletta di Siniscola. Numerosi i nuraghi e le aree archeologiche: per esempio il nuraghe Losa ad Abbasanta, Santu Antine a Torralba, ma anche l’area di Monte d’Accoddi a Sassari, il complesso nuragico Palmavera ad Alghero, le Tombe dei Giganti di Li Muri e di Coddu Vecchiu ad Arzachena. Tra i 93 beni spiccano anche il Compensio garibaldino di Caprera – museo nazionale e fattoria con annessi terreni e fabbricati – e il tempio punico-romano e villaggio di Antas a Fluminimaggiore.

Le verifiche. L’obiettivo è inglobare al più presto i beni all’interno del patrimonio regionale, recuperando tutto il tempo perso sinora. Per questo gli uffici regionali sono già al lavoro per stabilire che cosa nel frattempo è cambiato, quali beni sono ancora in uso allo Stato e dunque non possono essere ceduti e quali altri nel frattempo potrebbero aggiungersi all’elenco. Nell’indagine si terrà conto dell’attuale utilizzo dei beni – molti dei quali affidati in gestione ai Comuni e a cooperative private.

Il progetto. La Regione vuole recuperare i suoi beni e tenerseli stretti. All’orizzonte nessuna ipotesi di vendita ma di affidamento nel lungo periodo, per massimo 50 anni. I Comuni sui quali i beni ricadono avranno naturalmente un ruolo fondamentale anche quando saranno prese le decisioni sull’utilizzo. Ma altrettando importante potrà essere l’apporto di soggetti privati da individuare attraverso bandi pubblici. Lo strumento individuato è il project financing, che prevede l’assegnazione di un immobile all’operatore che si impegna a riqualificarlo e a mantenerlo in buone condizioni. «Attraverso lo strumento della concessione, l’investitore privato non grava il proprio business plan dei costi per l’acquisto degli immobili che rimangono di proprietà pubblica, mentre la Regione, oltre ad incassare un canone per l’intera durata della concessione, attiva circuiti di valorizzazione e sviluppo locale».L’iter è cominciato, dopo 9 anni di stop si riparte.

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