La Nuova Sardegna

Violenza sessuale sul web rischia 9 anni di carcere

di Nadia Cossu
Violenza sessuale sul web rischia 9 anni di carcere

A giudizio imprenditore sassarese: ricattò una bambina di 11 anni

05 febbraio 2017
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SASSARI. Una genialità diabolica che per il pubblico ministero della Dda di Milano Cristian Barilli merita una condanna pesantissima: nove anni e sei mesi di carcere e 60mila euro di multa. Questa la richiesta di pena per un imprenditore sassarese di 40 anni finito a processo lo scorso anno con le accuse di violenza sessuale aggravata, pornografia minorile e virtuale, sostituzione di persona, corruzione di minorenne e diffamazione.

La trappola. Con le sue competenze informatiche, l’imputato aveva escogitato un metodo di aggancio e ricatto della vittima da vero “professionista”. Fingendosi una bambina di dieci anni era riuscito a ottenere su facebook l’amicizia di una undicenne del Milanese. Dopo aver conquistato la sua fiducia (anche perché lei era sempre convinta di chattare con quella nuova amica conosciuta sul web) l’aveva costretta a guardare dei video pornografici – che ritraevano due bambine mezzo svestite e due uomini nudi – e poi a spogliarsi e compiere atti di autoerotismo che prevedevano anche l’introduzione di oggetti nelle parti intime. Tutto sotto minaccia: «Se non lo fai veniamo a prenderti in Italia, sappiamo dove abiti perché l’indirizzo è tra le informazioni del tuo profilo facebook». E lei, terrorizzata, aveva obbedito cadendo in una trappola infernale. A un certo punto si era ribellata, ignara del fatto che la vendetta fosse dietro l’angolo. La reazione al suo rifiuto, infatti, è stata l’immediata divulgazione del video.

Violenza sessuale sul web. È uno dei primi casi giudiziari in cui viene contestata una violenza sessuale “virtuale”. Che, nello specifico, si è configurata proprio ottenendo – attraverso la minaccia – che la ragazzina si spogliasse e si masturbasse con gli oggetti. Le indagini della Dda sono partite dopo la denuncia presentata ai carabinieri dalla sorella maggiore della vittima. La ragazzina, infatti, aveva scoperto che il 40enne aveva trasmesso il video che la ritraeva nuda a una sua coetanea, oltre che migliore amica. Quest’ultima aveva poi inoltrato il link a un compagno di classe e in pochi giorni molti studenti lo avevano a disposizione nel loro smartphone.

La testimonianza della vittima. Durante un’audizione protetta, l’undicenne ha raccontato la vergogna, la paura. E non ha esitato a puntare il dito contro quella che considerava la sua amica del cuore: «Mi ha tradito, è tutta colpa sua, se non avesse inviato quel video nessuno lo avrebbe visto». Anche perché il consulente del pm incaricato di analizzare i pc della ragazzina, della sua “amica” e dell’imputato ha trovato sì il link incriminato ma del video non c’era più traccia. Era stato distrutto definitivamente. Ed è proprio durante l’ispezione del computer dell’imprenditore che sono saltati fuori oltre cento frammenti di film pedopornografici. Erano stati cancellati ma il consulente è riuscito a recuperarli. Da qui la seconda contestazione: detenzione con finalità di divulgazione di materiale pedopornografico.

Un piano diabolico. Per mettere a punto questo piano perverso l’imprenditore avrebbe installato nel pc due programmi molto sofisticati. Uno gli permetteva di comunicare attraverso la webcam con le sembianze di un’altra persona (da qui la contestazione del reato di sostituzione di persona). I due uomini ripresi nel video che la vittima era stata costretta a guardare erano infatti due estranei. Il 40enne non era uno dei due. Aveva “rubato” la loro “fisicità” (e anche quella delle bambine) facendo credere all’undicenne di essere uno dei due protagonisti della scena di sesso. Un altro programma installato consentiva di registrare ciò che la ragazzina faceva davanti alla webcam.

La difesa. L’imputato è difeso dall’avvocato Antonio Secci che nell’udienza del 10 maggio avrà il difficile compito di convincere i giudici che il suo assistito non può essere considerato responsabile di quei reati solo per il fatto di essere proprietario del pc cui altri potevano accedere. Lo stesso giorno discuteranno gli avvocati di parte civile che tutelano la famiglia della ragazza che oggi ha 14 anni.

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