La Nuova Sardegna

Fine vita, una legge nei desideri di Piludu

di Sabrina Zedda

Presentata l’associazione intitolata al politico morto di Sla. La moglie: i malati devono poter decidere

17 febbraio 2017
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CAGLIARI. «Sono convinto della necessità civile che lo Stato laico legiferi per individuare percorsi che permettano al cittadino di decidere della propria vita. Così come la legge sul divorzio non costringe un credente a utilizzarla, lo stesso varrebbe per quella sul fine vita». Nel giorno in cui l'associazione Walter Piludu si presenta al pubblico Marinella Maucioni, la moglie dello storico militante del Pci, a dare voce al marito. Lo ha fatto leggendo un comunicato scritto da Piludu nel settembre 2015. Parole cariche della passione civile di cui Piludu era portatore, ma anche della sua esperienza da malato di Sla, malattia che, come ha ricordato il giornalista Giancarlo Ghirra, amico e promotore dell'associazione a lui intitolata, il politico sardo non esitò a definire “la mia ingorda amante”. Tra amici di una vita, ex compagni di partito, familiari ed esponenti della società civile, in centinaia hanno salutato il debutto della nuova associazione, organizzato nella sala convegni della Fondazione di Sardegna. Non un mero incontro formale, ma un'occasione di dibattito e di conoscenza. Tanto più in questi giorni, quando una nuova proposta di legge sul testamento biologico si appresta a essere esaminata dalla Camera e altri casi simili a quelli di Piludu sono saliti alla ribalta delle cronache. «Walter è rimasto lucido sino alla fine – ha ricordato Giancarlo Ghirra – ma ci ha lasciato in eredità la richiesta di una buona legge. Noi chiediamo alle Camere di fare presto». Le resistenze sono ancora tante, e se la parola Dat (acronimo che sta per disposizione anticipata di trattamento) comincia a prendere piede, bisognerebbe considerare che la dicitura più adatta sarebbe “testamento”, suggerisce Marinella Maucioni: «Perché – spiega – ognuno sa che un testamento è obbligante e va attuato senza condizioni». Ma è proprio qui che si insinuano le resistenze, sebbene sarebbe facile capire se una legge sul fine vita è buona oppure no: «Una buona legge laica incorpora i principi cardine dell’ordinamento – spiega il magistrato Giangiacomo Pisotti –. La legge è invece cattiva se incorpora i principi di gruppi, che pur rispettabilissimi, non hanno riscontro nella Costituzione». In questo senso la vicenda di Walter Piludu, è stata esemplare: ci è voluto l’intervento di un giudice perché il suo diritto a dire basta ai trattamenti sanitari (pur garantito dalla Costituzione) potesse concretizzarsi. La questione è spinosa, e se è vero, come ha spigato Michele Pintus, medico e amico di Piludu, che in Italia sono almeno 2.800 le persone in queste condizioni, e che solo un familiare su 10 conosce la reale situazione del parente malato, si comprende come una legge non sia più rimandabile.

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