La Nuova Sardegna

La difesa: «Un processo con due verità»

di Nadia Cossu
La difesa: «Un processo con due verità»

Pronti all’appello i legali di Paolo Pinna, condannato a 20 anni. Lunedì andranno a Quartucciu «per cercare di confortarlo»

08 aprile 2017
3 MINUTI DI LETTURA





SASSARI. Angelo Merlini cita un grande giurista come Salvatore Satta per spiegare quanto drammatico sia stato il processo che si è concluso due giorni fa al tribunale dei minorenni con una condanna a vent’anni di carcere per Paolo Enrico Pinna. Un ragazzo che all’epoca aveva solo 17 anni e che ora è rinchiuso in carcere a Quartucciu con l’accusa di aver ucciso due giovani che avevano una vita intera davanti: Gianluca Monni (ammazzato a Orune l’8 del 2015) e Stefano Masala (ucciso il 7 maggio e poi fatto sparire). I suoi avvocati andranno da lui lunedì: «Gli parleremo e gli porteremo un po’ di conforto».

«È stato tutto molto difficile – dice Angelo Merlini, che difende l’imputato insieme al collega Agostinangelo Marras – Dopo 45 anni di carriera da penalista posso dire di sentirmi svuotato al termine di questo processo. Ci siamo fatti carico del dolore di tutte le famiglie coinvolte». Parla di «drammi incrociati», Merlini: «I Monni e i Masala che hanno perso i loro cari, i Pinna con un figlio considerato un assassino, schiacciati dal paese, isolati, messi in croce. A ogni udienza si toccavano un dolore, una sofferenza differenti. Giovedì si è celebrato l’ultimo dramma. Certo, c’è un corpo da trovare, quello di Stefano Masala. Il padre vuole il proprio figlio a casa, fa gli appelli. E chi non li farebbe al suo posto?».

Si sofferma poi sui contenuti della tesi prospettata al giudice Antonio Minisola, su quegli elementi forti che i legali hanno intenzione di riproporre in Appello: «Forse abbiamo osato molto ma è questo il compito del difensore che deve costruire una tesi alternativa». Un’altra verità rispetto a quella dell’accusa. «Il nostro discorso ci pareva chiaro, non abbiamo trascurato alcun elemento e siamo arrivati a proporre una ricostruzione alternativa a quella del pubblico ministero. E quando in un processo ci sono due verità non può esserci certezza per la condanna». In questo caso il giudice deve aver ritenuto più consistenti gli elementi portati dal pm Roberta Pischedda tanto da decidere di infliggere a Pinna il massimo della pena prevista per un minore.

«Ancora una volta manifesto il rispetto per un padre al quale è stato ucciso un figlio ma, contrariamente al mio costume professionale di non polemizzare mai con le parti, sono costretto questa volta a replicare». L’avvocato Agostinangelo Marras è l’altro difensore. Ha impostato la sua arringa sostenendo in particolare che proprio Stefano Masala, al contrario di quanto sempre detto dalla Procura, fosse vivo l’8 maggio, giorno del delitto Monni e che, addirittura, avesse partecipato all’omicidio. «È scritto su un’informativa dei carabinieri – aveva detto in aula l’avvocato – Sono riportate le dichiarazioni di Marco Masala che avrebbe riconosciuto il figlio dentro la macchina inquadrata dalle telecamere di Orune pochi istanti prima dell’omicidio».

«Accuse infamanti» le ha sempre definite il padre dello scomparso. Ed è qui che Marras replica: «Negli interventi difensivi non è mai stato “infamato” nessuno. Abbiamo fatto il nostro dovere citando esclusivamente atti processuali e in particolare rapporti dei carabinieri e testimonianze».

In Primo Piano
L’incidente

Scontro frontale sulla Sassari-Olbia, cinque feriti in codice rosso

Le nostre iniziative