La Nuova Sardegna

I sindaci in campo: basta con il centralismo

I sindaci in campo: basta con il centralismo

La battaglia promossa dai Riformatori ha già messo insieme quasi la metà dei primi cittadini isolani

24 ottobre 2017
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CAGLIARI. La passione dei sindaci ha sempre qualcosa di speciale anche in un referendum sull’insularità. Perché se vero che spesso sono scesi in piazza, o sono stati costretti a farlo quando hanno avuto la certezza di essere emarginati, per difendere i «loro condomini», ci sono alcuni Comuni forse appena più grandi di un palazzo, e dopo quelle manifestazioni qualcuno li ha sospettati di esasperato campanilismo. È vero anche che i sindaci finora mai si sono tirati indietro se, oltre al gonfalone di casa, c’era da sventolare la bandiera della Regione, i Quattro Mori, sotto il naso dello Stato e dell’Europa. Eccoli così schierati, in 173 su 377, ma il numero è destinato a crescere, al fianco dei promotori del referendum consultivo con cui i sardi, in primavera, chiederanno all’Italia che l’handicap naturale e storico dell’insularità sia riconosciuto nella parte alta, la più nobile, della Costituzione. «In origine c’era già scritto, ma purtroppo all’indomani della riforma federalista è stato cancellato con troppa fretta. Oggi quel diritto costituzionale c’è dovuto e ri-dovuto in nome delle pari opportunità e degli stessi diritti di cittadinanza che spettano alla Sardegna rispetto alla terra ferma e al resto della Nazione» Per poi aggiungere: «Tra l’altro siamo convinti che solo la Costituzione può e potrà metterci al riparo anche da future, sempre possibili, leggi nazionali anti-isolane o dall’egoismo finanziario di qualche regione più ricca, come pare abbiano intenzione di fare la Lombardia e il Veneto». Lo hanno detto, uno dopo l’altro, in un raduno per nulla celebrativo, ma «di pura rivendicazione dei diritti e che quindi va ben oltre l’assistenzialismo e le solite concessioni». È vero: sono stati loro, gli amministratori comunali, che hanno partecipato all’evento con la fascia tricolore, i primi a capire che questo referendum «è di tutti i sardi e per tutti i sardi», ha detto Lucia Tidu, tra le coordinatrici di un Comitato trasversale, bipartisan, che in un mese ha raccolto 25mila ed entro la fine dell’anno vuole toccare quota 100mila. «Finora sono stati i sindaci una delle forze più genuine, decise e decisive in questa campagna referendaria. Sono stati loro i primi a scendere in campo. Poi dovunque hanno organizzato centinaia di banchetti e poi convinto, in quei giorni, tantissimi cittadini che firmare era cosa buona e giusta», ha aggiunto Roberto Frongia. È lui il presidente di un gruppo che, sostenuto da argomentazioni giuridiche e scientifiche, è sempre più impegnato a centrare l’obiettivo di «una necessaria svolta costituzionale». Perché «oggi dobbiamo contare di più in Italia e in Europa», ha ribadito Nicola Sanna, sindaco di Sassari. Con Marco Floris, che amministra appena 220 abitanti di Siris, nell’Oristanese, pronto nel ribadire lo stesso concetto: «Per fronteggiare lo spopolamento, scatenato purtroppo dalle troppe, continue crisi economiche e sociali, dobbiamo essere più compatti e più forti nella trattativa con lo Stato e con Bruxelles». Secondo Giacomo Porcu, sindaco di Uta, quella del referendum «è un’occasione unica per presentarci dovunque non solo più sostenuti da questo o quel partito, o dalla maggioranza politica del momento, ma finalmente da tutto popolo sardo». Con in più la constatazione amara di Laura Capelli, sindaca di Buggerru: «Abbiamo un’infinità di problemi quotidiani, ma Roma sembra o non vuole capirli. È arrivato il momento di avere dalla nostra parte la Costituzione». Fino all’appello finale di Andrea Lutzu e Loredana Sanna, sindaci di Oristano e Terralba, «ogni sardo deve sentirsi coinvolto in questa sfida sacrosanta», e subito ripreso da Roberto Frongia: «Ancora una volta sarà la voce dei cittadini a spazzare via le ultime prudenze e resistenze verso questo referendum popolare».

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