La Nuova Sardegna

«Parrocchie, bilanci chiari o stop all’erogazione fondi»

di Giuseppe Centore
«Parrocchie, bilanci chiari o stop all’erogazione fondi»

Oristano, per l’arcivescovo Ignazio Sanna «la trasparenza è sempre una virtù»

20 gennaio 2018
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ORISTANO. «Dovevamo fare chiarezza, rendere organiche norme, pur presenti nel diritto canonico da molti anni, che spesso venivano ignorate. Nessuna volontà punitiva o di maggior controllo sui conti delle parrocchie, anche perchè questa richiesta è giunta proprio dai parroci, e in particolar modo da quelli più giovani che si ritrovano catapultati in una realtà quella della parrocchia, ben diversa dai temi appresi in seminario».

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L’arcivescovo di Oristano Ignazio Sanna si dichiara sorpreso del clamore suscitato dal suo decreto sui conti delle parrocchie e sugli obblighi che i sacerdoti, anche in materia economica devono avere rispetto alla Curia.

«Sanzioni per chi non rispetta le norme e non presenta il conto economico? Niente di particolare: solo la cancellazione dei fondi elargiti, sino alla presentazione del documento contabile e una lettera di richiamo dell’Arcivescovo. E non è una bella cosa per un sacerdote ricevere una comunicazione del genere».

Sanna spiega che il testo anticipato dalla Nuova, e pubblicato nel sito della diocesi, è lo stesso che è stato poi discusso con gli interessati in una apposita riunione tenutasi giovedì a Oristano.

«Non ho voluto imporre alcunché, la richiesta è venuta dal clero, soprattutto dai sacerdoti giovani; purtroppo non possono fare prima i viceparroci, affiancando quelli più anziani perchè di sacerdoti ve ne è sempre meno, e vanno subito in prima linea, ignorando molti aspetti fondamentali e delicati soprattutto in materie economiche e finanziarie. Per questo ho voluto emanare un decreto che rendesse organici i capitoli già presenti su questo tema nel diritto canonico, ma che spesso vengono dimenticati o rimossi».

Con questo documento la diocesi di Oristano fa da apripista per le altre sedi sarde: «non ho letto di molti decreti simili, e così ho studiato quello emanato dalla Curia di Milano, adattandolo naturalmente alla nostra realtà».

Per sgomberare il campo dagli equivoci l’Arcivescovo precisa che l’intero patrimonio della diocesi, a seguito delle riforme nate con la riforma del Concordato del 1984, è diventato per intero di proprietà dell’Istituto Centrale di Sostentamento del Clero, organo della Conferenza Episcopale Italiana. La proprietà quindi non è più locale ma nazionale, così come le eventuali rendite dei beni, «ma la tassazione è a carico nostro».

Analogo gesto è stato compiuto nella diocesi di Alghero-Bosa. Sarebbero queste due le diocesi sarde in testa alla classifica di quelle che hanno devoluto le loro proprietà per intero all’Istituto centrale.

Per le altre, forse, il processo è in divenire.

Se manca ancora uniformità nella gestione del patrimonio delle diocesi, c’è comunanza di intenti nel chiedere semplificazione nelle norme e negli enti di gestione.

Dalla Sardegna infatti è partita la richiesta di istituire in un unico ente gestore dei beni, i dieci gestori attuali, uno per ogni diocesi che possa così dialogare con maggiore elasticità con Roma. L’arcivescovo di Oristano ricorda come la sua diocesi gestisca i fondi dell’8 per mille, circa 930mila euro l’anno, sotto due principali capitoli equamente divisi in interventi per il culto e la pastorale e in interventi caritativi. «Con queste somme gestiamo gli uffici della Curia, il seminario diocesano, la quota del seminario regionale e della facoltà teologica sarda. Gli interventi caritativi riguardano le Caritas, locali e diocesane, e i diversi di assistenza del territorio che fanno a noi riferimento, comprese le strutture che operano nel sociale come il Gabbiano». A queste somme sono da aggiungere le spese per l’attività delle parrocchie e la gestione dei luoghi di culto, dove, anche nel recente passato, sono state assunte iniziative non concordate. «Da qui l’esigenza di fissare un tetto di cinquemila euro per gli atti di straordinaria amministrazione che senza una firma del Vescovo non sono validi. In passato abbiamo assistito a sacerdoti che in buona fede avviavano restauri di statue o commissionavano retabli autonomamente, senza informare la Soprintendenza o il Vescovo. Ora tutto ciò non sarà più possibile». La pubblicazione del decreto sulla Nuova ha però provocato stupore tra più di un sacerdote. «La chiarezza e la trasparenza fa bene a tutti», conclude Sanna.


 

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