Puddu: «Ora i 5 Stelle pronti per governare»
di Luca Rojch
Il coordinatore regionale: soddisfatto per le liste, rappresentiamo la società civile Gli impegni sui temi caldi del lavoro, dell’urbanistica, del turismo e dell’industria
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SASSARI. Le Stelle sono sempre più brillanti. Il Movimento creato da Beppe Grillo presenta le sue liste nell’isola. E i 5 Stelle sembrano avere già acquistato una mentalità di governo. Poche polemiche e idee chiare, con i sondaggi che danno il Movimento in vantaggio ovunque, anche nei collegi uninominali. Anche se il coordinatore Mario Puddu fa professione di umiltà ed evita toni trionfalistici. Dentro gli M5s ci sono avvocati, scrittori, giornalisti, sportivi e anche un pastore.
Soddisfatto per le liste?
«Molto, perché ritengo che non sia facile raggiungere la società civile sarda e noi ci siamo riusciti. E l’abbiamo rappresentata nelle nostre liste».
C’è la novità dei nomi scelti per l’uninominale.
«Sono il quid in più, l’apertura del movimento. È stata una scelta intelligente. Spesso si dice che la politica sia sorda alle esigenze delle persone. Noi partiamo proprio da chi vuole dire qualcosa. Non cerchiamo elettori a cui chiedere voti in campagna elettorale. Con umiltà ci siamo aperti alla società civile e abbiamo chiesto il loro contributo».
Ma è stata dura la scelta? Ed è stato facile convincere tutti?
«I rappresentanti del ceto imprenditoriale sono un po’ più titubanti, perché devono mettere da parte per un po’ le loro aziende. Noi chiediamo un impegno totalizzante. Ma in realtà è stato più complicato fare delle scelte. Per noi sono le migliori».
Ci sono anche molti giornalisti. Insomma non li odiate più.
«Non li odiamo. Al contrario ricordo che tra i nostri primi candidati annunciati ci sono Gianluigi Paragone ed Emilio Carelli. Noi abbiamo criticato le linee editoriali di alcuni quotidiani nazionali. Non ci siamo mai rapportati in modo ostile ai giornalisti. In particolare a quelli che non avevano un approccio prevenuto nei nostri confronti».
In Sardegna i candidati usciti dalle parlamentarie sono stati tutti confermati, e anche le polemiche sono state di poco conto.
«Non amiamo questa legge elettorale che limita molto la possibilità di scelta degli elettori. Per questo abbiamo fatto le Parlamentarie che hanno restituito almeno in parte la facoltà di scegliere ai cittadini. I nomi non sono stati imposti dalle segreterie come ho visto fare in altri partiti. Le scelte successive sono state fatte dallo staff di Di Maio. Ma anche il dissenso è servito. Si è capito chi crede davvero nel progetto e chi era con noi solo per interesse personale e ci ha abbandonato dopo scelte non condivise sulle candidature. Se vedo cosa hanno fatto gli altri partiti non posso che essere orgoglioso. In tanti altri casi le scelte sono state fatte nelle segreterie e hanno catapultato candidati arrivati fuori dalla Sardegna. I nostri candidati sono tutti in corsa nelle loro province di residenza».
I sondaggi vi danno in vantaggio in tantissimi collegi. Anche nell’uninominale.
«È vero, fa piacere, ma è solo un punto di partenza. I sondaggi valgono appena un po’ di più del calciomercato estivo. C’è tanto da lavorare, ci aspetta una bellissima campagna elettorale, è tutto ancora da costruire e conquistare».
Quali sono i punti programmatici principali su cui insisterete in queste elezioni?
«La prima risposta la daremo alle aspettative dei sardi, a quello che tutti ci chiedono: il lavoro. Per noi è la priorità. Non parliamo solo di reddito di cittadinanza, che è fondamentale, ma con più persone che lavorano ci sarà meno necessità del reddito di cittadinanza. Abbiamo uno sguardo particolare anche nei confronti delle imprese. Serve meno burocrazia e minore pressione fiscale».
Cosa ne pensa della legge urbanistica che la giunta regionale vuole approvare?
«La Sardegna ha un valore ambientale unico. Dobbiamo proteggerla e puntare sul suo valore aggiunto del paesaggio che ha un peso fondamentale anche dal punto di vista dell’attrattività turistica. La legge urbanistica deve tenere conto anche di questo aspetto. A me sembra che nella legge urbanistica ci sia il rischio che si possano avere tentativi di speculazione. Noi non siamo soddisfatti del testo varato».
Calenda ha detto che è impossibile pensare a una Sardegna senza industria. Concorda?
«Per prima cosa dobbiamo capire a quale tipo di industria ci si vuole riferire. Il ministro Calenda, ma anche il governatore Francesco Pigliaru, devono essere coerenti. Il programma del Pd nel 2014 non mi pare sostenesse quello che ora dice Calenda e sottoscrive Pigliaru. Io parto da un concetto. Vogliamo tutelare sempre i lavoratori. Il loro impiego sarà preservato, ma nel rispetto di questo punto si deve discutere su quale tipo di industria sia sostenibile. Le fabbriche non possono restare aperte a discapito della salute delle persone. Questo è un argomento delicato che deve essere affrontato e risolto».
I 5 Stelle sono nemici dell’Europa?
«Io dico di no. L’Europa deve pensare come un’unica comunità. Noi non siamo contro l’Europa o contro l’euro, ma contro l’uso strumentale che è stato fatto dell’istituzione. Se stare in Europa significa sottostare ai dettami della Bce o ai poteri dei grandi gruppi a noi non sta bene. Non vogliamo più sentire chi dice: “È l’Europa che ce lo chiede”. Noi siamo pronti a proporre alternative politiche alle scelte dell’Ue di questi anni, nella speranza che vengano accolte. Il referendum rimane una delle opzioni se l’Europa dovesse diventare una corda stretta intorno al collo pronta a strozzare gli italiani».
Soddisfatto per le liste?
«Molto, perché ritengo che non sia facile raggiungere la società civile sarda e noi ci siamo riusciti. E l’abbiamo rappresentata nelle nostre liste».
C’è la novità dei nomi scelti per l’uninominale.
«Sono il quid in più, l’apertura del movimento. È stata una scelta intelligente. Spesso si dice che la politica sia sorda alle esigenze delle persone. Noi partiamo proprio da chi vuole dire qualcosa. Non cerchiamo elettori a cui chiedere voti in campagna elettorale. Con umiltà ci siamo aperti alla società civile e abbiamo chiesto il loro contributo».
Ma è stata dura la scelta? Ed è stato facile convincere tutti?
«I rappresentanti del ceto imprenditoriale sono un po’ più titubanti, perché devono mettere da parte per un po’ le loro aziende. Noi chiediamo un impegno totalizzante. Ma in realtà è stato più complicato fare delle scelte. Per noi sono le migliori».
Ci sono anche molti giornalisti. Insomma non li odiate più.
«Non li odiamo. Al contrario ricordo che tra i nostri primi candidati annunciati ci sono Gianluigi Paragone ed Emilio Carelli. Noi abbiamo criticato le linee editoriali di alcuni quotidiani nazionali. Non ci siamo mai rapportati in modo ostile ai giornalisti. In particolare a quelli che non avevano un approccio prevenuto nei nostri confronti».
In Sardegna i candidati usciti dalle parlamentarie sono stati tutti confermati, e anche le polemiche sono state di poco conto.
«Non amiamo questa legge elettorale che limita molto la possibilità di scelta degli elettori. Per questo abbiamo fatto le Parlamentarie che hanno restituito almeno in parte la facoltà di scegliere ai cittadini. I nomi non sono stati imposti dalle segreterie come ho visto fare in altri partiti. Le scelte successive sono state fatte dallo staff di Di Maio. Ma anche il dissenso è servito. Si è capito chi crede davvero nel progetto e chi era con noi solo per interesse personale e ci ha abbandonato dopo scelte non condivise sulle candidature. Se vedo cosa hanno fatto gli altri partiti non posso che essere orgoglioso. In tanti altri casi le scelte sono state fatte nelle segreterie e hanno catapultato candidati arrivati fuori dalla Sardegna. I nostri candidati sono tutti in corsa nelle loro province di residenza».
I sondaggi vi danno in vantaggio in tantissimi collegi. Anche nell’uninominale.
«È vero, fa piacere, ma è solo un punto di partenza. I sondaggi valgono appena un po’ di più del calciomercato estivo. C’è tanto da lavorare, ci aspetta una bellissima campagna elettorale, è tutto ancora da costruire e conquistare».
Quali sono i punti programmatici principali su cui insisterete in queste elezioni?
«La prima risposta la daremo alle aspettative dei sardi, a quello che tutti ci chiedono: il lavoro. Per noi è la priorità. Non parliamo solo di reddito di cittadinanza, che è fondamentale, ma con più persone che lavorano ci sarà meno necessità del reddito di cittadinanza. Abbiamo uno sguardo particolare anche nei confronti delle imprese. Serve meno burocrazia e minore pressione fiscale».
Cosa ne pensa della legge urbanistica che la giunta regionale vuole approvare?
«La Sardegna ha un valore ambientale unico. Dobbiamo proteggerla e puntare sul suo valore aggiunto del paesaggio che ha un peso fondamentale anche dal punto di vista dell’attrattività turistica. La legge urbanistica deve tenere conto anche di questo aspetto. A me sembra che nella legge urbanistica ci sia il rischio che si possano avere tentativi di speculazione. Noi non siamo soddisfatti del testo varato».
Calenda ha detto che è impossibile pensare a una Sardegna senza industria. Concorda?
«Per prima cosa dobbiamo capire a quale tipo di industria ci si vuole riferire. Il ministro Calenda, ma anche il governatore Francesco Pigliaru, devono essere coerenti. Il programma del Pd nel 2014 non mi pare sostenesse quello che ora dice Calenda e sottoscrive Pigliaru. Io parto da un concetto. Vogliamo tutelare sempre i lavoratori. Il loro impiego sarà preservato, ma nel rispetto di questo punto si deve discutere su quale tipo di industria sia sostenibile. Le fabbriche non possono restare aperte a discapito della salute delle persone. Questo è un argomento delicato che deve essere affrontato e risolto».
I 5 Stelle sono nemici dell’Europa?
«Io dico di no. L’Europa deve pensare come un’unica comunità. Noi non siamo contro l’Europa o contro l’euro, ma contro l’uso strumentale che è stato fatto dell’istituzione. Se stare in Europa significa sottostare ai dettami della Bce o ai poteri dei grandi gruppi a noi non sta bene. Non vogliamo più sentire chi dice: “È l’Europa che ce lo chiede”. Noi siamo pronti a proporre alternative politiche alle scelte dell’Ue di questi anni, nella speranza che vengano accolte. Il referendum rimane una delle opzioni se l’Europa dovesse diventare una corda stretta intorno al collo pronta a strozzare gli italiani».