La Nuova Sardegna

Comitati No Nucle e sindaci compatti

Comitati No Nucle e sindaci compatti

Proteste e delibere per scongiurare il rischio, l’isola parla con una voce sola

11 maggio 2018
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SASSARI. È uno dei pochissimi argomenti che unisce: niente bandiere, niente divisioni, nessuno in Sardegna vuole il deposito di scorie nucleari. C’è la consapevolezza che individuare un sito in cui ospitare la montagna di rifiuti è una necessità impellente: se l’Italia non lo farà, incapperà in pesantissimi sanzioni. Lo dicono le direttive Euratom che impongono la realizzazione di un’infrastruttura unica per stoccare in sicurezza i rifiuti radioattivi, generati dallo smantellamento delle ex centrali nucleari assieme a quelli prodotti quotidianamente dalle attività industriali, mediche e di ricerca. La produzione attuale è di circa 30mila metri cubi, sistemati in una ventina di depositi temporanei da Nord a Sud del Paese e non sempre in condizioni ottimali dal punto di vista della sicurezza. Il deposito nazionale dovrebbe invece accoglierne in totale sicurezza circa 95mila, di cui 78mila destinati a rimanerci per sempre, mentre altri 17mila saranno invece stoccati temporaneamente. Il calendario corre e il traguardo è fissato tra il 2020 e il 2021.

Da anni l’attenzione sul tema è altissima nell’isola, dal 2011 con il referendum, sino alla costituzione dei comitati No Nucle, e alla chiara presa di posizione della giunta Pigliaru e dell’Anci, che ha deliberato nel 2015 all’unanimità il proprio rifiuto a ogni ipotesi di dislocazione dei materiale nucleare nell’isola. Il ministro dell’Ambiente Galletti sinora è stato rassicurante, arrivando a escludere la presenza della Sardegna – terra già gravata dal peso delle servitù – dall’elenco dei siti idonei. Ma il verdetto ancora non c’è. E sino a quel momento abbassare la guardia è vietato.

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