La Nuova Sardegna

L’allarme degli allevatori: romeni in fuga dagli ovili

di Michela Columbu
L’allarme degli allevatori: romeni in fuga dagli ovili

Le aziende agricole sono più moderne ma non riescono a trovare manodopera Nonostante la disoccupazione anche i sardi rifiutano: accade in tutta l’isola

16 maggio 2018
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NUORO. Gli allevatori lanciano l’allarme. Non riescono più a trovare pastori e operai disposti a lavorare in campagna. Il flusso di manodopera dai paesi dell’est Europa, infatti, già a partire dall’anno scorso ha iniziato ad assottigliarsi e ora gli allevatori si trovano in serie difficoltà. Sono moltissime le aziende agricole che si ritrovano senza manodopera. Ma dov’è finita la forza lavoro che negli ultimi 15-20 anni ha aiutato le aziende agricole a sopravvivere? Il flusso di immigrati dalla Romania si è praticamente interrotto. Oggi molte aziende agricole, grazie agli investimenti degli ultimi anni, sono strutture moderne e non cercano solo pastori ma anche manodopera qualificata. I romeni arrivavano con un bagaglio di esperienza maturato a casa nell’allevamento di greggi di ovini. Bagaglio che poi veniva arricchito in Sardegna: i pastori hanno insegnato ai rumeni il mestiere e aggiunto professionalità a queste figure.

Prima dei romeni erano stati gli albanesi, nei primi anni ’90, a dare man forte alle aziende. Per una decina d’anni le campagne sarde hanno parlato albanese, salvandosi dallo spopolamento a cui sembravano essere destinati tanti ovili. Il problema della manodopera infatti non è di oggi, ma risale almeno a 30 anni fa. A vantaggio delle aziende sicuramente il fatto che i lavoratori dei Balcani, con vitto e alloggio pagati, rimanevano in azienda e, oltre alla forza lavoro, garantivano anche la presenza di notte. Le stesse identiche condizioni che, a partire dagli anni duemila, hanno garantito i romeni subentrati agli albanesi. Oggi però i romeni preferiscono restare a casa loro. Le condizioni economiche in Romania sono migliorate e gli stipendi medi si aggirano intorno ai 600 euro al mese. Negli ultimi tempi, poi, il governo romeno ha avviato diverse politiche per convincere gli emigrati a tornare in patria ad aprire nuove aziende. Comunque non è solo per questo che i romeni non vengono più a lavorare in Sardegna. Chi decide di lavorare all’estero sceglie il paese che garantisce migliori condizioni di lavoro e stipendi più alti, come la Germania, la Francia, l’Inghilterra. L’Italia rimane una meta ancora per molti, ma la Sardegna, che ha il limite dell’insularità, è stata ormai abbandonata anche per via dei costi delle trasporti.

«Bisogna trovare una soluzione, così non si può andare avanti», dice Peppino Mura, un pastore di Ottana che ha provato operai di diverse nazionalità. «In azienda ho avuto romeni, indiani, pachistani, africani e, ovviamente, anche giovani sardi. Ma da due anni a questa parte è diventato impossibile trovare qualcuno disposto a lavorare in campagna. Non esiste più l’operaio che sa fare tutto: chi munge dice che non guida il trattore o non falcia l’erba o viceversa. È una vera lotta». «Quello che più mi preoccupa è che non si riesce a trovare un operaio sardo – gli fa eco Sebastiano Porcu, allevatore di Irgoli che non ha mai avuto bisogno di manodopera, perché conduce l’azienda con il figlio –. Chi lavora in campagna sa bene che non ci sono orari di ufficio. Non è che alle 17 uno se ne va a casa. E si lavora anche il sabato e la domenica, ovviamente. E invece, a fronte di una disoccupazione altissima, anche in Sardegna, si ha paura di sporcarsi le mani e di lavorare in un ovile. Eppure è quello che hanno sempre fatto i romeni, fino a qualche anno fa. Ora la loro mancanza si sente». La pensa così anche Maria Laura Ghisu, titolare di un’azienda avicola a Ollolai. «Trovare manodopera è diventato un terno al lotto. Nella mia azienda abbiamo passato periodi in totale emergenza perché non si trovava nessuno disposto a lavorare. Ora quel periodo è passato, ma il problema generale rimane».

Per Gianbattista Mureddu, pastore di Fonni con ovile a Macomer, è un problema che si ripercuoterà sull’economia di tutta la Sardegna rurale. «Aziende medio grandi che hanno un numero alto di capi saranno costrette a diminuire il bestiame se non si trova una soluzione al problema. È un fenomeno generale, che riguarda tutti i paesi della Sardegna e non solo le zone dell’interno. Qui rischia di sparire una delle tradizioni più antiche dell’isola, la pastorizia».



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