La Nuova Sardegna

Pecorino dop in Canada: il governo blocca l’accordo

Claudio Zoccheddu
Forme di pecorino (foto d'archivio)
Forme di pecorino (foto d'archivio)

Il trattato abbatteva i dazi e tutelava i marchi. La protesta dei produttori

16 luglio 2018
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SASSARI. I presupposti erano ottimi. Al punto che il formaggio sardo sembrava pronto a conquistare un nuovo mercato. Peccato che l’autostrada commerciale aperta verso il Canada dovrebbe chiudere a breve perché la maggioranza del Parlamento italiano non ratificherà il Ceta, l’accordo tra Unione europea e Canada che – in estrema sintesi – abbatte i dazi doganali e riconosce il valore giuridico delle produzioni “certificate” in Italia. L’annuncio è arrivato dal vicepremier Luigi Di Maio ed è stato subito ripreso dal ministro delle Politiche agricole Gianmarco Centinaio: il parlamento italiano non ratificherà il Ceta e, anzi, farà saltare tutto il banco perché è sufficiente un solo “no” europeo per mandare tutto a monte. I motivi sono vari, ci sono le 43 produzioni Dop e Igp commercializzate in Canada – durante il “periodo di prova” del Ceta – contro le altre 250 (e più) che non facevano parte dell’accordo ma c’è anche la possibilità che le Dop e le Igp fossero destinate a convivere con i loro imitatori canadesi, come ha sostenuto Coldiretti che si schierata apertamente contro il Ceta. Insomma, nonostante i dati registrati da settembre 2017, con le esportazioni cresciute dell’8 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e in grado di garantire 400 milioni di fatturato per le imprese italiane, il Ceta dovrebbe essere cancellato alla prima occasione utile.

Le reazioni. Per la produzione casearia sarda la bocciatura dell’accordo da parte del governo è un clamoroso autogol. La prova dell’accordo commerciale con il Canada aveva prodotto numeri più che interessanti. Il pecorino sardo, ma soprattutto il pecorino romano, stavano iniziando a sperimentare cosa potesse significare esportare senza pagare i dazi doganali e arrivare al consumatore canadese sfruttando il marchio di origine protetta: «Nei primi mesi del 2018 abbiamo registrato una crescita del volume d’affari di circa 18 milioni di euro – spiega Salvatore Palitta, presidente del Consorzio del pecorino romano – e si tratta di dati parziali perché c’è voluto un po’ di tempo prima che il periodo di prova dell’accordo potesse andare a regime». La posizione dei produttori sardi, perlomeno quelli del pecorino romano, è chiara: «Non possiamo che essere favorevoli al Ceta – aggiunge Palitta – per la prima volta è stato concesso il riconoscimento giuridico alle forme di produzione protetta. Non solo, il Ceta ha permesso di mettere fine all’era delle quote e ci ha aperto un mercato libero e interessante perché composto da consumatori con origini europee che apprezzano i nostri prodotti. Prima di questa prova si lavorava con le licenze che prevedevano quote di importazione definite. E se un operatore comprava reggiano non poteva comprare romano. Adesso il discorso è diverso». Anche se non sembra destinato a durare: «La politica può fare quello che vuole, noi consigliamo di essere prudenti perché in questo caso stanno sbagliando – aggiunge il presidente del Consorzio del pecorino romano – . Dicono che non è possibile parlare di sole 30 o 40 denominazioni di origine protette lasciando fuori le altre ma la realtà dice che chi lamenta di non essere riconosciuto è solo perché non esiste in quel particolare mercato. Non ratificare il Ceta è un danno enorme e se Di Maio ha deciso di fare questa scelta è solo perché non conosce a fondo la questione, o magari è stato informato in malo modo. Noi abbiamo fatto presente al governo il nostro punto di vista e non possiamo che sperare che ne tenga conto».

I numeri. Secondo i dati rilevati dall’Istat fino alla fine dello scorso anno il pecorino romano era il formaggio sardo preferito in Giappone, che ne importa più di 5mila quintali all’anno. Al secondo posto c’era il Canda che, grazie la Ceta, stava rapidamente risalendo la classifica. Tra gennaio e marzo, quando cioè gli scambi erano già modulati secondo i dettami del Ceta, le rilevazioni erano schizzate alle stelle mettendo a referto un aumento del 41,57 per cento del valore delle esportazioni e una crescita molto vicina al 24 per cento nelle quantità esportate, che nei primi tre mesi del 2018 sono state quantificate in 164 tonnellate. Durante i 31 giorni del gennaio 2018 il “peso” delle esportazioni del pecorino romano in Canada era cresciuto del 73,9 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Un’impennata seconda solo a quella del valore dell’export sardo in Nord America, che a marzo era cresciuto del 83 per cento rispetto allo stesso mese del 2017.

Numeri che spiegano perché il consorzio dei produttori farebbe di tutto per vedere il Ceta ratificato dal governo italiano e perché l’argomento potrebbe essere decisivo per la fetta di economia isolana legata alle produzioni casearie.
 

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