La Nuova Sardegna

Romana, la sindaca si dimette: mi sento sola

di Giovanni Bua
Romana, la sindaca si dimette: mi sento sola

La prima cittadina getta la spugna: ho solo due assessori e 4 dipendenti, impossibile gestire il Comune

17 luglio 2018
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ROMANA. «Mi hanno chiamato tanti colleghi e compaesani. Ma a tutti ho detto la stessa cosa, non torno indietro. Mi sento sola, e da sola non ha senso continuare».

Parole di Lucia Catte, 62 anni appena compiuti, da 8 sindaca di Romana. Ancora per pochi giorni, 5 ad essere precisi. Il 22 infatti finirà la finestra che la legge le concede per ritirare le sue dimissioni, protocollate a inizio luglio con la laconica dicitura: «per motivi personali». Ma la prima cittadina del paesino di 561 abitanti nel cuore del Meilogu, adagiato su un tavolato di rocce vulcaniche e carsiche tra Alghero e Sassari, spiega che di personale c’è ben poco nella sua irrevocabile decisione. «Di salute sto benissimo – sottolinea – e non ho problemi familiari. I problemi sono pubblici, politici. E si possono riassumere facilmente: mi sento sola».

Eppure Lucia Catte non è certo nuova alle difficoltà dell’amministrare. Olianese di nascita ma da decenni a Romana è stata eletta per la seconda volta nel 2015 alla guida della civica “Uniti per il Cambiamento”, ed è sempre stata in prima linea in tutte le battaglie del territorio. «Abbiamo anche ottenuto i nostri risultati, piccoli come la nostra comunità, ma significativi – sottolinea soddisfatta –. Ma da un paio d’anni mi sono resa conto che la “spinta” era finita. Mi sono ritrovata con due assessori invece di tre. E con nessun apporto dal consiglio comunale (otto persone in tutto). Se a questo aggiungiamo che a disposizione ho solo 4 dipendenti comunali, di cui uno part time è facile comprendere quanto fosse difficile per me seguire tutte le pratiche del Comune. E quanto soprattutto fosse poco gratificante».

Pratiche che, vista la dimensione bonsai del paesino nel cui territorio scorre il fiume Temo (c’è anche la fonte di Abbarghente usata fin dall’età nuragica) verrebbe da pensare non siano troppo gravose da gestire. «Ma è un errore – spiega la quasi ex prima cittadina –. I piccoli Comuni sono già di per sé abbandonati. E l’unico modo che hanno per finanziarsi è concorrendo a bandi europei o regionali, programmazioni complesse, difficili da mettere in piedi, soprattutto se non si ha una struttura dedicata. O, come nel nostro caso, se la struttura non c’è proprio. Io questo lo sapevo, e per otto anni ho combattuto insieme ai miei compaesani e ai miei colleghi sindaci per ritagliarmi maggiore spazio possibile. Per cercare di dare risposte che tutti finiscono per chiedere al sindaco, che in realtà di problemi ne può risolvere ben pochi. Però quando mi sono trovata da sola a portare avanti questa battaglia ho deciso che dovevo dare un segnale. E con i giorni ho anche capito che ho voglia di tornare a fare il mio lavoro, nei servizi sociali». Nessun ripensamento all’orizzonte dunque, con il Comune del Meilogu che verrà commissariato, e andrà alle urne nel 2019 con un anno di anticipo. «Sì, penso proprio che finirà così. Vado via, sicura di aver dato tanto. E che qualcuno dopo di me troverà forze e motivazioni». E magari un po’ di compagnia.

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