La Nuova Sardegna

Il racconto del naufrago: «Affondati in tre minuti»

di Dario Budroni
Il racconto del naufrago: «Affondati in tre minuti»

Lo scafo non ha retto all’urto di un’onda. Vitiello: «Bisogna fare chiarezza»

28 ottobre 2018
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OLBIA. Certe volte la paura ti annebbia il cervello. Ti fa saltare i nervi e dimenticare tutto quello che ti è successo. Ma per Alessandro Vitiello le cose sono andate diversamente. Lui di questa quasi tragedia si ricorda qualsiasi cosa. La partenza, la barca che affonda, il suo corpo immerso nel Tirreno per 55 ore. «Però dai, alla fine è andata bene. Guardami, sto benissimo. L’unico problema sono stati i crampi. Sai, quando si passa tanto tempo in acqua è normale. E non ho neanche sofferto tanto il freddo, sono un uomo di mare». Alessandro Vitiello, maddalenino, è uno dei due naufraghi che hanno seriamente rischiato di morire a 50 miglia dalle coste galluresi. Anche il suo amico Renato Spano, olbiese, sta bene nonostante l’ipotermia e le forze che lo avevano quasi abbandonato. Per loro adesso è il momento della festa e del calore della famiglia. Poi arriverà il momento di individuare tutte le cause di quell’incidente che li ha quasi mandati all’altro mondo. Già da domani la capitaneria di Olbia, che ha salvato i due galluresi, si metterà al lavoro per accertare cause e responsabilità del naufragio della piccola imbarcazione appena acquistata da Vitiello in Toscana. «Anche io voglio saperne di più, perché le certificazioni erano a posto – sottolinea –. Vedrò se presentare una causa, ma in ogni caso ci penserà la capitaneria».

Cosa è successo. Alessandro Vitiello è un uomo di mare, come tutta la sua famiglia. «Ho sempre lavorato in mare – racconta sul lettino del pronto soccorso dell’ospedale di Olbia –. Ma coltivavo da tempo il sogno di creare un’attività tutta mia: organizzare piccoli tour nell’arcipelago della Maddalena. Quindi alla fine ho deciso di comprare quella barca». Vitiello ha così acquistato il Caimano, una imbarcazione di 14 metri in legno, da un piccolo centro diving di Porto Ercole, in Toscana. «La barca era a posto e così martedì alle 23.30 siamo partiti alla volta della Maddalena – spiega Vitiello –. Purtroppo però la barca è affondata il giorno dopo, mercoledì, verso mezzogiorno. La barca ha preso un colpo di onda e si è improvvisamente aperta. Ho accelerato, per avvicinarmi il più possibile alla Sardegna. Ma niente da fare, dopo tre minuti è affondata». La barca era dotata di tutte le strumentazioni. «Avevamo tutto. Ho chiesto aiuto attraverso la radio, che era nuova. Però forse c’era un problema all’antenna, perché ricevevo ma non riuscivo a trasmettere – continua Vitiello –. Abbiamo sparato anche dei razzi, ma nessuno ci ha visto». Alessandro Vitiello e Renato Spano si sono infilati due salvagenti arancioni e si sono buttati in mare. A 50 miglia dalla Sardegna, quasi a metà strada tra l’isola e la penisola. «È stato brutto. Prima di buttarmi in mare avevo sistemato delle bottiglie d’acqua nel salvagente. Col tuffo, però, ho perso tutto quanto – ricorda il naufrago maddalenino –. Da quel momento abbiamo cominciato ad aspettare. Vedevamo delle navi in lontananza e così ho sparato alcuni razzi che mi erano rimasti. Tutto inutile. Siamo restati in mare fino al pomeriggio di venerdì. Più di 50 ore. È terribile vedere delle navi che ti passano vicine ma che non ti vedono». Vitiello e Spano sono rimasti in compagnia della paura, del freddo e della sete. «Ma per fortuna sono riuscito a mantenere i nervi saldi e alla fine ci hanno trovati vivi – afferma Vitiello –. Venerdì mattina il mio amico si è slegato da me e si è allontanato. Poi non l’ho più visto. Qualche ora dopo, di pomeriggio, è arrivata la motovedetta della guardia costiera. In quel momento ho tirato un enorme sospiro di sollievo. Mi hanno recuperato e portato a Olbia, mentre il mio amico è stato recuperato dall’elicottero».

L’inchiesta. La capitaneria di Olbia, coordinata dal direttore marittimo Maurizio Trogu, ha svolto un’ottima operazione di ricerca. Da domani però cercherà di fare luce sull’accaduto. Bisognerà capire se l’imbarcazione fosse davvero in grado di affrontare la traversata del tirreno e se avesse tutte le dotazioni di sicurezza a posto. «La barca aveva anche il Rina, che è un certificato di sicurezza, valido fino al 2019. E non penso che sia colpa di chi mi ha venduto la barca, ma nel caso di chi ha rilasciato quel certificato» dice Vitiello.

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