La Nuova Sardegna

Delitto del lago: Fodde, il killer spietato, ha ucciso per imitare i boss

di Enrico Carta
Delitto del lago: Fodde, il killer spietato, ha ucciso per imitare i boss

L’esigenza di comandare la sua gang e la droga dietro l’omicidio di Manuel Careddu

11 ottobre 2019
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GHILARZA. C’entra la droga. C’entra quel debito di 600 euro di cui veniva richiesto il pagamento. Ma ancor più c’entra l’onore di chi ambisce a ritagliarsi un ruolo da criminale emergente e lo vede calpestato nel momento in cui qualcun altro compare sulla scena e osa mettere tutto ciò in discussione. È come se quel qualcun altro potesse sminuire il suo valore nelle considerazioni degli altri amici e allora chi ambisce a essere il capo indiscusso del gruppo ha bisogno di riaffermare il suo dominio, di mostrare che sopra di sé non può esserci alcuno. È per questo che uccide. È per questo che decide di farlo nello spazio di un solo giorno.

Entrando nella psicologia del delitto, nelle 97 pagine con cui esaurisce le motivazioni della sentenza di condanna emessa a luglio, la giudice per le udienze preliminari del tribunale di Oristano, Silvia Palmas, sposta l’obiettivo su quello che ritiene il vero movente che ha portato cinque ragazzi – due minorenni – a compiere l’omicidio di Manuel Careddu. Certo che c’è la droga dietro tutto, non fosse altro perché da un acquisto di marijuana nasce quel debito che il diciottenne di Macomer pretendeva che venisse quanto prima onorato. Ma la droga in questa storia di morte iniziata l’11 settembre di un anno fa non è tutto. È l’onore, almeno per Christian Fodde, che viene prima di ogni altra cosa.

Nelle ultime pagine del lungo resoconto con cui spiega perché è arrivata alla condanna dello stesso Fodde e dei suoi due amici ventunenni, Riccardo Carta e Matteo Satta, la giudice chiarisce che, nelle intenzioni di colui che materialmente compie l’omicidio, la morte di Manuel Careddu è figlia di uno «spirito punitivo» che si rivolge contro «chi aveva messo a rischio il suo prestigio criminale». È come se tra le righe di questa storia di violenza si leggesse una sorta di inarrestabile determinazione ad arrivare in cima, a primeggiare nel mondo del crimine. È come se il modo di affermarsi di un ragazzo che nel 2018 aveva appena vent’anni fosse esclusivamente legato al rispetto che gli altri potevano avere di lui, paragonando se stesso al capo di una gang da fiction o addirittura da realtà latino americana.

Christian Fodde è l’unico dei cinque ad aver preso l’ergastolo al termine del processo di primo grado. Non l’ha salvato il rito abbreviato, frutto della strategia processuale dell’avvocato difensore Aurelio Schintu, che gli è valso comunque lo sconto automatico di un terzo della pena e quindi gli ha evitato l’isolamento diurno. È l’unico che si ritrova sulle spalle la pena massima e resta la figura centrale del processo ai tre maggiorenni – Riccardo Carta è stato condannato a trent’anni, Matteo Satta a sedici anni e otto mesi, i due minorenni sono stati condannati a sedici anni –. La lunga ricostruzione dei fatti lo vede sempre in prima fila, dalle 11 del mattino dell’11 settembre 2018 alla notte del 13 settembre quando il corpo di Manuel Careddu viene seppellito nel campo di Costaleri in modo che nessuno lo possa ritrovare.

Le motivazioni aggiungono poco, forse nulla, rispetto a quanto già stabilito dalle indagini. La genesi e il compimento dell’omicidio erano già chiarissimi da subito grazie alle intercettazioni che raccontano in presa diretta quanto accade. È sulla filosofia del delitto, ammesso che la si possa chiamare così, che le 97 pagine illuminano e, sul finire lo fanno anche su Riccardo Carta e Matteo Satta. Il primo è il proprietario del terreno di Soddì sulle sponde del lago Omodeo in cui Manuel Careddu viene ucciso a colpi di piccozza e pala; il secondo è colui che al lago non andrà, restando a Ghilarza per tenere con sé i telefonini degli altri per creare loro un alibi. Nel momento in cui la giudice parla di «assurdo movente», ricorda che «da tutti è stato ritenuto sufficiente a giustificare una condanna a morte». Quel movente sarebbe proprio la rivendicazione da parte di Fodde del suo primato criminale a cui gli altri si allineano «sebbene nemmeno conoscessero Manuel Careddu».

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