La Nuova Sardegna

Oloé, pioggia di fondi ma il ponte resta chiuso

Paolo Merlini
Oloé, pioggia di fondi ma il ponte resta chiuso

Non transitabile dal 2013, per la Provincia ora è sicuro. La Procura dice no

27 ottobre 2019
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NUORO. È chiuso dal 2013, se si esclude un breve intermezzo prima di un ulteriore sequestro da parte della magistratura. Eppure sul ponte di Oloè, un viadotto di poche decine di metri sull’alveo del Cedrino, si continuano a riversare milioni di finanziamenti. L’ultimo, di quattro milioni e 117mila euro, annunciato nel 2017 dalla Regione, è arrivato il 3 ottobre scorso, a pochi giorni dal no del giudice monocratico Giovanni Angelicchio all’istanza di dissequestro e dunque di riapertura presentata dalla Provincia, proprietaria della struttura e della strada, la sp 46. “Miglioramento della funzionalità idraulica del ponte”, recita la delibera regionale. Peccato che, allo stato attuale delle cose, quei soldi non serviranno a niente, anzi, andranno ad aggiungersi agli oltre 4 milioni già spesi inutilmente dal 2013 a oggi. Inutilmente non perché non siano stati utilizzati, ma perché il ponte che collega Oliena e Dorgali sembra destinato a non riaprire mai più, visto il muro contro muro tra enti locali e magistratura. Per i primi, più esattamente la Provincia di Nuoro, dopo l’ultimo intervento, costato un milione 300mila euro, è diventato sicuro. Anzi, uno dei cento più sicuri e monitorati d’Italia, dice l’amministratore straordinario dell’ente con sede in piazza Italia, Costantino Tidu, che fa suo il giudizio di Settimo Martinello, ingegnere a capo della società 4Emme, sede madre a Bolzano e filiali in 16 città, che si occupa dei controlli e del monitoraggio di migliaia di ponti sparsi in tutta Italia. C’è la sua firma sotto il collaudo positivo che i periti del tribunale di Nuoro hanno buttato alle ortiche. «Alle prove di carico – dice il dirigente del settore infrastrutture della Provincia, l’ingegnere Antonio Gaddeo – il ponte ha retto un peso di 250 tonnellate, equivalente a una fila di autocarri in un senso e nell’altro, con simulazioni di movimento e di manovra. Non sono state avvertite neppure vibrazioni». Ma i periti incaricati dal tribunale (gli ingegneri Sante Mazzacane e Marco Bruni, il geologo Bruno Gregu) la pensano in tutt’altro modo: permane lo stato di pericolo, il ponte non va riaperto.

La tragedia. Sull’intera vicenda burocratica pesa come un macigno la morte di Luca Tanzi, agente di polizia che il 18 novembre 2013 era impegnato nei soccorsi per il ciclone Cleopatra. Tanzi si accingeva a percorrere il ponte su un fuoristrada con altri colleghi a bordo. L’asfalto cedette letteralmente sotto l’auto, che sprofondò con un volo di alcuni metri. Breve premessa: non fu il ponte a crollare, ma una delle sue spalle, realizzata – nel 1954, anno di costruzione del ponte – con una struttura di calcestruzzo riempita di terra da riporto, secondo la prassi del tempo. La furia dell’acqua erose gradualmente la terra creando una voragine fatale. Sulle responsabilità dell’incidente è in corso un processo al tribunale di Nuoro, dove inoltre, elemento affatto marginale, si scontrano due tesi sulla dinamica: la Provincia sostiene che la strada era transennata e dunque il passaggio era vietato a chiunque, mezzi di soccorso compresi; i testimoni dell’accusa dicono che non c’era alcun impedimento.

Il primo intervento. Ciò che è importante evidenziare è che la struttura vera e propria resse, e dunque i lavori di ricostruzione post-Cleopatra, assegnati all’Anas, riguardarono solo le spalle del ponte. Va detto che su questo aspetto due anni fa è stata avviata una nuova inchiesta perché secondo l’accusa l’impresa incaricata dei lavori, Sacramati spa, utilizzò per il riempimento dell’ex terrapieno un materiale difforme da quanto indicato nell’appalto. Il procedimento giudiziario vede anche la Provincia come parte civile (determina del 13 settembre scorso).

Il secondo intervento. Occorre ricordare che alle somme stanziate per i lavori si aggiungono i costi del monitoraggio sostenuti dalla Provincia, circa 600mila euro. Nel gennaio 2017 una nuova ondata di maltempo mette in evidenza un’ulteriore anomalia, stavolta nel ponte vero e proprio: si sta abbassando. Di quanto? Per la Procura della Repubblica di 9,5 centimetri, per la Provincia di soli 3,5. È evidente come le due valutazioni portino a conseguenze opposte: nel primo caso i problemi strutturali sarebbero molto seri, e potrebbero riguardare anche la “roccia fratturata” su cui insiste la struttura (per la Provincia, che sta effettuando studi geognostici, un granito di milioni di anni a prova di bomba). Nel secondo caso, basterebbe sostituire i cuscinetti dei piloni, vecchi come abbiamo visto più di 65 anni. Nel 2018 prendono il via i lavori di consolidamento, che riguardano vari aspetti e si concludono nel giugno di quest’anno. Dopo prove di carico severissime, per i tecnici della Provincia il ponte è a posto, sicuro come pochi. Viene così presentata l’istanza di dissequestro e dunque di riapertura ai giudici. Che la bocciano. Anche perché tutti gli attori della vicenda sono del parere che quel ponte, anacronistico sotto il profilo costruttivo e delle normative intervenute nel tempo, sempre più restrittive, sia da ricostruire. Costi previsti, oltre venti milioni, tra viadotto e raccordi stradali. Il problema è che quei soldi non ci sono.

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