Per salvare le buste-paga non versa l’Iva: assolto
di Mauro Lissia
Ritardare il pagamento dell’imposta non è reato se serve a liquidare i salari Imprenditore di Assemini ha saldato a rate un debito di ottocentomila euro
28 novembre 2019
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CAGLIARI. È vero che non ha versato nei tempi stabiliti Iva per quasi 800 mila euro, ma non c’era alcuna volontà di evadere l’imposta. La scelta, certamente rischiosa sotto il profilo penale, era rivolta soltanto a salvare gli stipendi dei cinquanta dipendenti e l’azienda, che poteva franare sotto il peso dei debiti. E’ per questo che Marco Ghiani, sessantenne di Assemini e titolare delle Grafiche Ghiani, una tipografia storica e rinomatissima di Monastir, è stato assolto dall’accusa di evasione fiscale per omesso versamento dell’Iva: per il giudice Stefania Selis la sua condotta non costituisce reato e seppure il dispositivo non lo dica è evidente che il tribunale ha tenuto conto dello stato di necessità, legato alla tutela dei lavoratori e di un’impresa sana e produttiva. I motivi della sentenza saranno depositati fra 90 giorni e solo allora si conosceranno i dettagli tecnici su cui è fondato il ragionamento giuridico che ha indotto il tribunale ad assolvere. Ma già ora si può osservare come per una volta la giustizia abbia rinunciato a mostrare il suo volto inflessibile per lasciar prevalere il buon senso. I difensori - gli avvocati Gigi Porcella e Italo Doglio - hanno dimostrato nel corso del dibattimento pubblico che le ragioni per rimandare il saldo dell’imposta dovuta c’erano tutte e che sia pure in ritardo la Grafiche Ghiani ha onorato il debito fiscale pagando a rate mensili una cifra cresciuta in fin dei conti di oltre 200 mila euro. Quindi non c’è stato alcun danno per l’Erario, ma solo un versamento ritardato al prezzo di corposi interessi. Una realtà che ha convinto anche il pubblico ministero: l’accusa ha chiesto l’assoluzione.
La vicenda è comune a tante altre aziende: è stata la Guardia di Finanza, nel 2014, a controllare la contabilità della Grafiche Ghiani per stabilire se fosse in regola coi versamenti Iva. Non lo era, perché registri alla mano avrebbe dovuto pagare un acconto di 762.955 euro entro il 27 dicembre 2013. La giustificazione dell’imprenditore era stata lapidaria: o pago l’Iva o pago gli stipendi dei miei dipendenti e i costi della produzione. Scelta dettata da una crisi di liquidità legata certamente alla crisi del settore, ma soprattutto alla morosità dei clienti - i crediti ammontavano a un milione e 300 mila euro - e al taglio dei fidi imposto dalle banche proprio mentre Ghiani investiva una cifra consistente in una nuova rotativa. «In quel periodo - hanno sostenuto i testimoni e il consulente fiscale chiamato in aula - l’azienda non era in condizioni di pagare l’imposta, se l’avesse fatto sarebbe andata a rotoli la produzione e i dipendenti non avrebbero visto la busta paga per chissà quanto tempo. L’alternativa estrema erano i licenziamenti». D’altro canto il debito Iva era là, prima o poi l’imprenditore avrebbe dovuto saldarlo: «E lo ha fatto appena possibile - hanno sostenuto gli avvocati Porcella e Doglio nelle loro arringhe - concordando con l’Agenzia delle Entrate una dilazione, 90 mila euro al mese a partire da luglio 2014 per chiudere ad aprile del 2019». Solo che anche di fronte all’annunciato pagamento del debito, la giustizia doveva fare il suo corso: finito sulla scrivania del pm Emanuele Secci, il rapporto delle Fiamme Gialle non poteva che dar luogo alla contestazione penale. Da qui, mentre l’Iva veniva saldata con regolarità, il procedimento e infine il giudizio. Sullo sfondo un grosso punto interrogativo: poteva bastare al tribunale la certezza che l’imputato si era trasformato in un evasore Iva temporaneo soltanto per salvare l’azienda e i lavoratori? La sentenza emessa ieri dal giudice Selis sembra rispondere in modo affermativo alla tesi dei difensori, aprendo forse la strada a un’ipotesi pericolosa: altre aziende in apparente difficoltà finanziarie, comprese quelle che in difficoltà non sono, potrebbero sospendere i versamenti Iva accampando a pretesto la crisi. Spetterà al tribunale distinguere caso da caso e decidere di conseguenza.
La vicenda è comune a tante altre aziende: è stata la Guardia di Finanza, nel 2014, a controllare la contabilità della Grafiche Ghiani per stabilire se fosse in regola coi versamenti Iva. Non lo era, perché registri alla mano avrebbe dovuto pagare un acconto di 762.955 euro entro il 27 dicembre 2013. La giustificazione dell’imprenditore era stata lapidaria: o pago l’Iva o pago gli stipendi dei miei dipendenti e i costi della produzione. Scelta dettata da una crisi di liquidità legata certamente alla crisi del settore, ma soprattutto alla morosità dei clienti - i crediti ammontavano a un milione e 300 mila euro - e al taglio dei fidi imposto dalle banche proprio mentre Ghiani investiva una cifra consistente in una nuova rotativa. «In quel periodo - hanno sostenuto i testimoni e il consulente fiscale chiamato in aula - l’azienda non era in condizioni di pagare l’imposta, se l’avesse fatto sarebbe andata a rotoli la produzione e i dipendenti non avrebbero visto la busta paga per chissà quanto tempo. L’alternativa estrema erano i licenziamenti». D’altro canto il debito Iva era là, prima o poi l’imprenditore avrebbe dovuto saldarlo: «E lo ha fatto appena possibile - hanno sostenuto gli avvocati Porcella e Doglio nelle loro arringhe - concordando con l’Agenzia delle Entrate una dilazione, 90 mila euro al mese a partire da luglio 2014 per chiudere ad aprile del 2019». Solo che anche di fronte all’annunciato pagamento del debito, la giustizia doveva fare il suo corso: finito sulla scrivania del pm Emanuele Secci, il rapporto delle Fiamme Gialle non poteva che dar luogo alla contestazione penale. Da qui, mentre l’Iva veniva saldata con regolarità, il procedimento e infine il giudizio. Sullo sfondo un grosso punto interrogativo: poteva bastare al tribunale la certezza che l’imputato si era trasformato in un evasore Iva temporaneo soltanto per salvare l’azienda e i lavoratori? La sentenza emessa ieri dal giudice Selis sembra rispondere in modo affermativo alla tesi dei difensori, aprendo forse la strada a un’ipotesi pericolosa: altre aziende in apparente difficoltà finanziarie, comprese quelle che in difficoltà non sono, potrebbero sospendere i versamenti Iva accampando a pretesto la crisi. Spetterà al tribunale distinguere caso da caso e decidere di conseguenza.