La Nuova Sardegna

Francesco Demuro: «Mai arrendersi Ragazzi, inseguite i sogni»

di Giovanni Dessole
Francesco Demuro: «Mai arrendersi Ragazzi, inseguite i sogni»

Il tenore ai cronisti in erba: non ponetevi limiti, provateci sempre. L’amore per l’isola e per la sua Porto Torres, il primo palco nel bar dei genitori

06 dicembre 2019
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SASSARI. «Non chiamatemi Maestro, chiamatemi Francesco» dice. E i ragazzi lo prendono in parola. Disponibile. Ironico. Affabile. Grande uomo e grande artista Francesco Demuro, tenore di fama mondiale per passione e professione, marito e padre di tre figlie che ieri mattina nella sala conferenze della sede Nuova Sardegna ha incontrato gli studenti della redazione La Nuova@Scuola capitanata dalla capo servizio della cronaca Daniela Scano, dando loro lezioni di vita, di amore per la musica e per la sua terra, Porto Torres, invitando tutti a restare con i piedi per terra senza però mai smettere di coltivare sogni, e passioni. I giovani giornalisti fanno domande a tutto campo, come veri e interessati cronisti. Lui risponde, senza esitazioni. «Non ponetevi mai limiti – afferma sicuro –. Non esiste dire: non ce la faccio». Ad accoglierlo il direttore del quotidiano Antonio Di Rosa e Gianni Bazzoni, giornalista e concittadino dell’artista.

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Il presidente del Conservatorio di Sassari “Luigi Canepa” Ivano Iai consegna al tenore una targa. Al centro del parlare, chiaramente, la musica: «Ho sempre cantato ogni giorno della mia vita. La musica ha un'importanza che va ben oltre la semplice disciplina». Qualcuno chiede a Demuro cosa avrebbe fatto se non fosse diventato famoso: «Facevo il carpentiere in ferro, ho fatto il muratore, ero un operaio. La cosa più nobile che esista è il lavoro».

Si trova bene a lavorare in Giappone e Cina, così come sui palcoscenici dei teatri di Parigi e New York. Sottolinea l'importanza del canto a tenore («Le nostre radici. Meriterebbe attenzione e tutele anche il canto a chitarra»). Il rap e la trap? «Mi piacciono. Basta siano di qualità. Importante è il messaggio che si vuole trasmettere». L'amore è musica, la felicità è musica, la tristezza è musica, scrive Mirko emozionando l’artista: «Condivido, mi piace molto, bellissimo pensiero. Anche in momenti difficili a me viene da cantare. Tutti i sentimenti sono musica, io esprimo così i miei sentimenti».

I ragazzi chiedono come tutto è cominciato: «A Porto Torres c'erano dei circoli dove si intonavano i canti a chitarra. Il bar dei miei era uno di questi. Ho iniziato lì: il mio primo palco. La prima gara a chitarra invece l'ho fatta nel 1988 a Mores: ero un bambino, avevo 10 anni. Giravo la Sardegna. Per 20 anni questa è stata la mia vita. Poi è arrivata la lirica». Quando è scoppiato l'amore? «Amavo la musica melodica italiana, ascoltavo Claudio Villa. Non conoscevo la lirica, l'ho scoperta da grande circa 12 anni fa. Feci una selezione per il festival di Sanremo al Civico di Sassari, cantai un pezzo di Del Monaco. Grandi applausi, non passai ma alcuni membri della commissione si stupirono chiedendosi cosa ci facessi lì con la mia voce e invitandomi ad iscrivermi al Conservatorio. Scattò la scintilla, il resto viene da sé». Le curiosità dei giovani interlocutori sono un fiume in piena: «Il mio esordio? Il 7 ottobre del 2007. A Parma. La Tosca. È stato come entrare in un'altra dimensione, stile Matrix. Fu un trampolino per me. Dopo due anni di carriera, era il 2010, mi trovavo a casa a Lucca: mi chiama il mio agente e mi chiede: te la sentiresti di cantare, stasera, il Rigoletto alla Scala? Era un'emergenza, tutto improvvisato: avevo batticuore, ma era troppo importante. Andò bene. La stessa cosa capitò al Metropolitan di New York, con la Bohème di Zeffirelli. Sono un kamikaze». Sorride fra le risate della sala mentre il direttore Antonio Di Rosa sottolinea che «superare il test del loggione della Scala significa essere veramente bravi». La sua casa è la Sardegna: «È il miglior posto al mondo – applauso –. Ci sono cose impagabili qui. La mattina mi alzo e vedo il mare. È la mia terra». Cosa lascia a Francesco Demuro questa esperienza? «Una cosa bellissima, per me e per loro. Se anche solo uno di questi ragazzi un giorno troverà spunto da questo incontro, sarà bellissimo. Siate protagonisti della vostra vita, dateci dentro». Gli chiedono di cantare Li Candareri di Ginetto Ruzzetta («Ruzzetta era un grande») e lui canta, riempiendo di passione l'intera redazione mentre il batter di mani scandisce il ritmo ed esplode in ovazione finale.
 

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