La Nuova Sardegna

Peste suina, vittoria vicina ma l’isola non è pronta

di Antonello Palmas
Peste suina, vittoria vicina ma l’isola non è pronta

La Sardegna sta per debellare il virus, che ora dilaga all’Est e in Cina Si potrebbero aprire nuovi mercati in una sitazione globale rovesciata

17 dicembre 2019
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SASSARI. La vittoria sulla Peste suina africana nell’isola è quasi certamente questione di pochi mesi, ma la Sardegna non è pronta ad approfittare di una opportunità gigantesca, «che non capiterà mai più nella vita» dice il docente Giuseppe Pulina. La malattia sta aggredendo il resto del mondo proprio mentre i sardi stanno per liberarsene grazie alle scelte politiche che hanno portato alla costituzione dell’unità di eradicazione che sta combattendo la piaga del pascolo brado; il mercato della carne di maiale sta attraversando di conseguenza una crisi mai vista e così si apre una finestra che non durerà in eterno. Qualche anno, durante tale periodo occorrerà che tutte le componenti facciano uno sforzo per trasformare in denaro questa contingenza internazionale, prima che Cina altri grandi produttori si riorganizzino.

L’esempio spagnolo. Il titolo del convegno organizzato ieri dalla sezione scienze zootecniche del dipartimento di agraria dell’università di Sassari, “La Sardegna libera dalla Peste suina africana”, organizzato per creare un confronto tra tutti gli operatori economici e istituzionali, parla così di un libro bianco tutto da scrivere. Con un esempio concreto di chi già ce l’ha fatta, la Spagna, che stava peggio dell’isola e dopo un’azione decisa come quella portata avanti dalla Sardegna, ha trasformato in un miracolo economico il proprio settore, oggi uno dei più fiorenti al mondo.

Mondo sotto attacco. Il direttore dell’Istituto zooprofilattico sperimentale Alberto Laddomada, ha parlato di un doppio sconvolgimento, quello legato a ciò che sta accadendo nel mondo aggredito violentemente dalla Psa e quello più piacevole relativo al fatto che l’isola sta per vincere la sua battaglia dopo oltre 40 anni. Ha sottolineato come per fortuna il genotipo 1 presente in Sardegna è per fortuna meno aggressivo rispetto al genotipo 2 che sta spaventando il resto d’Europa (è veicolata soprattutto dal cinghiale, contrariamente all’altra che ha come vettore principale il maiale, più controllabile) e sul quale occorre vigilare attentamente per evitare lo sbarco, approfittando del vantaggio del mare. Ha dipinto un quadro della situazione mondiale che vede la Cina (primo paese produttore e consumatore di carne suina al mondo e che pensa di reagire eliminando 400 milioni di allevamenti familiari e spostando le sue aziende in aree non contaminate) e il sud est asiatico invasi nel giro di due anni dai primi casi; così come l’est europeo dove la Psa è penetrata dalla Georgia e si è diffusa a macchia d’olio creando disastri in particolare in Romania e Bulgaria, ma anche in Polonia, arrivando a 40 chilometri dal confine con la Germania (altro grande centro suinicolo) dove si pensa che possa entrare nel 2020. Purtroppo di vaccini non si potrà parlare prima di 3-4 anni.

Terminare l’opera. Quindi Laddomada ha fornito i dati sulla Sardegna, ancora categorizzata come area a maggior rischio: «L’ultimo focolaio di virus-positività in aziende registrate – dice – risale al 12 settembre 2018; l’ultimo caso nei maiali bradi è stato riscontrato a Desulo il 26 gennaio 2019; nei cinghiali a Bultei l’8 aprile 2019. Cioè da oltre 8 mesi non si riscontra più il virus». I dati mostrano la correlazione tra la lotta al pascolo brado e l’attività della task force che scova ed elimina i maiali lasciati liberi di venire a contatto con soggetti infetti, «vero serbatoio della malattia», con Orgosolo epicentro del fenomeno e altri paesi di Nuorese e Ogliastra particolarmente interessati come Desulo, Arzana, Villagrande, Talana. Baunei, Urzulei, Irgoli e Nuoro. Qui è stata abbattuta la maggior parte dei 3800 capi degli ultimi due anni, portando il brado dai 4-5000 animali ai 6-800 attuali. Quindi l’appello: «Il commissario Ue da poco ci ha detto “bravi”, ma anche che occorre eliminare totalmente l’illegalità per poter decidere la fine dei vincoli all’export. Al di là delle cose che leggo sul web e che mi provocano mal di pancia – afferma – a gennaio o febbraio grazie a questo impegno potremmo ufficializzare l’eradicazione e andare a battere cassa a Bruxelles. Non è una battaglia di questo o quel governo regionale» precisa.

Giunta assente. E, a questo proposito, Pulina non manca di far notare l’assenza di almeno un rappresentante della maggioranza in Regione, mettendo in chiaro di «aver fatto di tutto», e parlando di «mancanza di rispetto per il settore» e di «assenza colpevole». Questo perché dalla politica ci si attende un supporto per terminare l’opera e per cominciare quella successiva, la costruzione di un sistema di filiera che sia in grado di cogliere al volo l’opportunità che gli offre la situazione mondiale, che vede in atto la più grande crisi nella produzione di proteine animali della storia.

Dal baratro alla svolta. Pulina riconosce grossi meriti e «schiena dritta» al coordinatore dell’unità di progetto Alessandro De Martini, che «nonostante le buste con minacce e proiettili ricevute ha saputo mantenere la barra dritta, senza dimenticare il gran lavoro di Ats, zooprofilattico, Forestas, Corpo forestale, carabinieri e polizia, prefetti, Laore e Agris. «Siamo partiti da una situazione con 109 focolai nel 2011-2013 – dice De Martini – , con le restrizioni Ue e a un passo dal commissariamento per l’incapacità della Regione». E spiega che l’errore è stato considerare il problema solo sotto l’aspetto della sanità animale, mentre negli ultimi anni si è lavorato molto nel confronto («anche molto acceso, ma produttivo») con allevatori e cacciatori. Lo scopo era convincere che era il momento di riappropriarsi di un patrimonio fondamentale soprattutto per il futuro dell’interno dell’isola.

Comunicazione. «Molta informazione, molti manifesti, spesso strappati – racconta De Martini – molta comunicazione con le amministrazioni locali. Siamo entrati in un mondo vasto, 35-40 mila doppiette, e di tradizione come quello dei cacciatori, ottenendo una fondamentale collaborazione (ora tutti sono tenuti a fornire i campioni per le analisi e a un comportamento rigoroso, ndc) e riuscendo a dettare loro le regole. Abbiamo fatto capire che bisogna dire basta al richiamo di una tradizione che non esiste, quella del brado, che occorre fare sistema. Siamo a un passo dal successo, spero che il nostro compito sia terminato, non vedo l’ora di dire “è fatta”».

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