La Nuova Sardegna

Sassari, quando l’ultrà è la mamma: il dovere di essere campioni

Luigi Soriga
Sassari, quando l’ultrà è la mamma: il dovere di essere campioni

Il difficile mondo delle scuole calcio tra papà mister e “piccoli Ronaldo”

23 dicembre 2019
5 MINUTI DI LETTURA





SASSARI. Loro non lo sanno, ma il diritto a non essere campioni dovrebbe essere sancito nella Costituzione. Entrano nel campo verde pennarello del Latte Dolce, con le maglie un po’ troppo abbondanti, larghe come i loro sogni XL, o come quelli XXL ricamati dai loro genitori, decisamente fuori taglia per essere indossati da spalle così esili.

Hanno dai 10 ai 14 anni, qualcuno calza scarpette giallo evidenziatore, i capelli scolpiti come i propri idoli di serie A. Sono materiali molto fragili, da maneggiare con cura, talenti bonsai che l’allenatore dovrebbe coltivare e soprattutto proteggere. Insegnandogli a dribblare, per prima cosa, gli avversari più temibili: i propri genitori.

Gabriele Setti è il responsabile della scuola calcio e del settore giovanile. Per i ragazzi è l’allenatore, ma anche il parafulmine, quello che assorbe e addomestica tutto il cortocircuito che si crea a bordo campo.

«Il genitore mister è un classico. Non c’è squadra che non ce l’abbia – dice Gabriele Setti – Lo vedi agitarsi sugli spalti, gridare e impartire consigli. Con in mano un joypad invisibile, vorrebbe controllare i movimenti del figlio come nella playstation. Corri lì, arretra, avanza, e poi magari si incazza se il ragazzo lo ignora. Per fortuna parliamo di pochi esemplari. La maggior parte dei genitori sono persone ragionevoli. Ma resta una fastidiosa minoranza che fa tanto inutile rumore». Sono gli stessi che a fine partita vanno dritti dal mister, quello vero, a chiedere spiegazioni, a contestare le scelte: «La prima cosa che ti dicono è: io ho giocato a pallone. Va bene, sediamoci un attimo, parliamone: a che livello ha giocato? E scopri che queste persone non sono mai andate oltre la seconda categoria». Le peggiori però sono le mamme. Soprattutto sugli spalti: se il cucciolo viene azzoppato, e questo in partita avviene spesso, le mamme sulle gradinate diventano tigri pronte ad azzannare. E addio fair play. «Non potendo andare sul tecnico per carenza di nozioni, trascendono sul personale. Dalla loro bocca escono gli insulti peggiori».

Se un allenatore avesse tra le mani 20 orfanelli, lavorerebbe sul velluto. Sarebbe la squadra perfetta. Invece ci sono 20 figli di papà e mammà, e tra questi, a loro insaputa, ci sono quelli che alla nascita hanno ereditato i sogni per delega, quelli che i genitori non hanno mai riscosso. A bordo campo c’è uno sfogo di frustrazioni, di aspettative accatastate. Per questo, all’ingresso di ogni scuola calcio, dovrebbe essere appeso il cartello che avverte: “Pensi che tuo figlio possa diventare come Ronaldo? Bene, allora non iscriverlo qui”. I genitori talvolta vorrebbero realizzarsi attraverso i propri pargoletti, e spingono, spingono, fino a farli inciampare. Dice Gabriele Setti: «Quando mi accorgo che le aspettative sono esagerate, quando si rischia di volare troppo alti, prendo i ragazzi e faccio un discorsetto per rimetterli con i piedi per terra». E non occorre nemmeno troppo sforzo, le statistiche riportano bruscamente sul pianeta realtà: 1 bambino su 30 mila vivrà di sport, lo 0,2 per cento dell’esercito degli 800mila tesserati in Italia dagli 8 ai 16 anni approderanno in A. E in Sardegna le chance si abbassano, forse 1 su 100mila potrà arrivare, e i bagliori di grandezza sfavillano dal primo istante in campo. Ma una mamma, quel luccichio, talvolta lo vede anche se tutto è spento.

Giovanni Mallau da anni allena i baby calciatori. Conosce bene le dinamiche degli spogliatoi e di ciò che gira intorno. Dice: «La democrazia dei genitori ruota su un solo asse: il figlio deve stare in campo, dopodiché possono anche entrare tutti». La Federazione impone che sino ai giovanissimi tutti debbano giocare. Ci sono tre tempi per spalmare i bambini. Ma dai 13 in su finisce l’era della scuola calcio e comincia l’agonismo. Si creano gelosie, soprattutto alimentate dalle aspettative dei genitori. «Il momento del riscaldamento è una radiografia: si capisce chi entrerà e chi siederà in panchina – dice Mallau – Sugli spalti si crea lo spartiacque tra i delusi e i contenti. I primi spesso lasciano le tribune e vanno al bar. Il clima si sfilaccia». C’è che il calcio non viene vissuto solo come un semplice divertimento, un’attività salutare e positiva, è un traguardo di successo da rincorrere: «I bambini spesso vanno all’allenamento perché costretti: tu ci vai per forza. Quando ero piccolo, e magari avevo preso un brutto voto, la punizione più severa che potevano infliggermi, era privarmi degli allenamenti. Un giorno, d’accordo con i dirigenti, abbiamo chiesto ai ragazzi di portare le pagelle per stimolarli a studiare di più. Chi va male a scuola non viene convocato. Beh, una mamma ci ha presi per matti: a voi che vi importa dell’andamento scolastico? Perché avete chiesto le pagelle? Tanto anche se va male, all’allenamento, lui viene ugualmente. E lì ti crolla qualunque scala di valori. Che priorità dai ai ragazzi?».

Il calcio è onnipervasivo, e finisce per doppare anche la consistenza dei sogni: «Prendi due ragazzi, uno che fa atletica e uno che fa calcio. Gli chiedi: chi vorresti essere da grande? Forse il primo ti dice Bolt, ma è già in difficoltà a trovare una seconda scelta. Il bomber di sei anni ti dice Ronaldo, ma forse Lukaku perché è potente, o magari Messi, e potrebbe fare altri cento nomi. Sanno tutto, sono già proiettati verso gli idoli». Insomma: l’atletica è uno sport e resta uno sport. Il calcio è un miraggio. Pian piano sull’erbetta arriverà la selezione naturale, chi è più forte gioca. È un trailer della vita, che avrà le stesse dinamiche, e le stesse asticelle. A casa ci saranno le discussioni contro l’allenatore che non capisce nulla e non valorizza i figli. Un po’ come gli insegnanti che ce l’hanno sempre con qualcuno. Quei genitori che per due ore si sedevano in un angolo e guardavano tutto l’allenamento, come angeli custodi di sogni fatui, pian piano svaporeranno. Resteranno quelli, più numerosi e realisti, pronti ad abbracciare comunque il loro piccolo, mediocrissimo, amato, campione.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

In Primo Piano
Elezioni comunali 

Ad Alghero prove in corso di campo larghissimo, ma i pentastellati frenano

Le nostre iniziative