La Nuova Sardegna

Animali maltrattati e uccisi primato degli orrori all’isola

di Antonello Palmas
Animali maltrattati e uccisi primato degli orrori all’isola

La Lega per la difesa del cane: la Sardegna svetta per il numero di episodi

06 gennaio 2020
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SASSARI. Non c’è solo la Sardegna delle bellezze naturali da sogno, del mangiare sano, dell’accoglienza, dei centenari. C’è anche un’isola degli orrori, quelli commessi nei confronti degli animali, che la pongono al primo posto tra le regioni italiane nel triste bilancio di fine 2019 divulgato dalla Lega nazionale per la difesa del cane. Dal cane legato a un’auto e trascinato fino a ucciderlo, al cucciolo torturato col fuoco a Sassari, dall’aquila del Bonelli abbattuta nel Sulcis al lager per cani scoperto sulla Giara. Ce n’è per tutti i discutibili gusti. Non c’è una classifica, ma nell’elencare gli episodi degli ultimi giorni del 2019, l’associazione animalista non può fare a meno di rilevare la percentuale di episodi verificatisi nell’isola. Che da sempre (è la dura realtà) è vista come una sorta di inferno degli animali da parte dei visitatori. Un pessimo biglietto da visita per chi vuol vivere di turismo.

«A Pagani (Salerno) una gattina è stata annegata nella fontana del paese – ricorda l’associazione – a Ferno (Varese) un gatto ucciso a bastonate; a Quartu (Cagliari), 4 gatti uccisi con colpi di arma da fuoco; a Flumini (Cagliari), un cane e 3 gatti avvelenati; nel Nuorese un cane morto dopo essere stato trascinato con un’auto; ad Aragona (Agigento), un cane gravemente ustionato. Non è un bollettino di guerra ma un resoconto, probabilmente parziale, degli animali vittime della violenza umana negli ultimi giorni del 2019». Purtroppo la Sardegna non brilla in questo terribile elenco. Ed è solo una piccolissima punta dell’iceberg di ciò che tutti i giorni succede, nel silenzio spesso colpevole.

Che la Sardegna sia additata come regione meno amica degli animali non sorprende. A luglio un report di Legambiente sugli ecoreati la poneva al secondo posto per maltrattamenti sugli animali con l’11,1% dei casi segnalati nel 2018, dietro il Lazio (13,2%) e davanti a Campania (8,8%) e Lombardia (8,7%). Ma in proporzione alla popolazione, nell’isola il tema è molto più scottante.

«Al di là della classifiche, è evidente che ci sia un problema – dice Giuseppe Fascì, coordinatore regionale dell’Enpa, Ente protezione animali – A una presenza altissima di associazioni che si occupano di animali nell’isola, 160, un numero elevatissimo in rapporto agli abitanti così come quello dei volontari, fanno da contraltare comuni che non si interessano del randagismo». Eppure dalla presenza di cani vaganti e dai danni che fanno alle greggi spesso nascono molti degli episodi di violenza, mentre la parola sterilizzazione sembra ancora tabù. «La storia del cane di Oniferi legato all’auto – dice Fascì – denota più della volontà di uccidere: anche quella di provocare sofferenza prolungata». E sottolinea: spesso si parla di cani e gatti, ma non del modo in cui sono allevate le specie da reddito.

«Nell’isola sono stati compiuti notevoli passi sotto il profilo della sensibilità, anche da parte della magistratura – dice il responsabile nord Sardegna della guardie zoofile dell’Enpa, Giovanni Azara – e questo ha portato a un incremento delle denunce, più che degli episodi. Si comincia a vincere la paura di segnalare il vicino o il parente per paura di rappresaglie». E negli allevamenti che viene compiuto il maggior numero di abusi: Azara ricorda di una tenuta abusiva di Usini nella quale l’Enpa fece sequestrare 17 tra cavalli, capre e asini lasciati a se stessi, senza acqua anche in estate, senza cure.

«A volte non si tratta di maltrattamento (per il quale occorre il dolo) ma di ignoranza o incapacità – dice la guardia zoofila – Nel 2017 intervenimmo a Bonorva per dei cavalli in gravi condizioni a causa della mancanza di cure per ferite alle zampe, che in questi animali possono degenerare in gravi patologie. Ebbene, alla fine accertammo che il proprietario in realtà non sapeva a chi rivolgersi». Proprio ai cavalli sono spesso riservati i trattamenti peggiori, da sempre sono visti solamente come mezzi per fare soldi. Tra gli episodi che ricorda, «quello del sequestro in un paese della Gallura di un gruppo di cani che la proprietaria teneva a catena cortissima, segregati dentro piccoli box di legno, il che condizionava la loro etologia e le esigenze normali di un essere vivente. Da dire che dietro casi del genere a volte si nascondono problematiche di tipo psichiatrico». Come nel caso degli avvelenamenti, diffusissimi: «È una pratica molto odiosa ed è difficile risalire all’autore perché le sostanze utilizzate sono di uso comune, come il lumachicida, e non occorre licenza.

Maltrattamenti all’ordine del giorno anche nei macelli clandestini, che nell’isola sono una realtà diffusa: qui non esiste nessuna pietà per gli esseri senzienti, lo stordimento è l’ultimo dei problemi e gli animali subiscono autentiche torture prima di essere uccisi. Colpa di una cultura arcaica, legata a una visione eccessivamente dura della vita e del rapporto uomo-animale, difficile da estirpare. Basti pensare al gran numero di cani che vengono “ricuciti” dai veterinari dopo ogni giornata di caccia al cinghiale e, se le ferite sono troppo gravi, giustiziati a fucilate dagli stessi proprietari. Una strage nella strage, senza eco, di cui tutti sanno ma che viene taciuta.

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