SASSARI. In una ipotetica classifica delle priorità, la Sardegna viene subito dopo la Puglia. Significa che dei 4 miliardi (ma si tratta solo della cifra di partenza) destinati all’Italia, dopo la fetta più grossa assegnata al risanamento dell’ex Ilva di Taranto, ci sarebbero l’area dell’ex Petrolchimico a Porto Torres e i siti minerari dimessi del Sulcis.
La ragione è semplice: il patto verde da 1000 miliardi approvato ieri 14 gennaio dal parlamento europeo ha l’obiettivo ambizioso di annullare le emissioni di C02 entro il 2050 agevolando i progetti ecosostenibili in particolare in quei territori legati in maniera più forte ai combustibili fossili, il carbone in particolare. E la Sardegna, dopo la Puglia, è la regione italiana che ha il maggior numero di addetti in attività legate al carbone.
Ma con il Just Transition Fund – il piano per la transizione da 100 miliardi – si mettono le basi per costruire il futuro: lo strumento infatti si propone di aiutare le regioni europee più legate al carbone (il phase out è fissato al 2025) sostenendo i progetti di riconversione. La novità più importante è il via libera all’intervento pubblico – che non finirebbe per incagliarsi nei paletti Ue sugli aiuti di Stato – e l’apertura a forme di cofinanziamento da parte dei privati. In Sardegna tutto ciò si tradurrebbe nella concreta possibilità di spegnere le centrali elettriche a carbone di Fiume Santo e di Portovesme individuando e sostenendo altre fonti energetiche.
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