La Nuova Sardegna

Adesso i benzinai diffidano i petrolieri

Adesso i benzinai diffidano i petrolieri

La protesta parte dalla Sardegna, tre centesimi a litro non bastano per vivere

17 gennaio 2020
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CAGLIARI. Neppure tre centesimi di profitto per un litro di carburante, tutto a causa di un accordo sindacale suicida con la compagnie petrolifere firmato nel 2014 dai sindacati Faib, Fegica e Figisc-Anisa: ora, la maggior parte sull’orlo del fallimento, i gestori dei distributori italiani non ci stanno più e la protesta parte dalla Sardegna. Prima la nascita a Cagliari dell’Angac, una sigla alternativa che contesta la validità di quel patto devastante, pochi giorni fa una nota formale firmata dagli avvocati Giuseppe Macciotta e Giulia Cartocci con la quale i 130 benzinai che aderiscono alla nuova associazione diffidano i petrolieri - Eni, Eg Italia, Italiana Petroli, Kuwait Petroleum, Petrolifera Adriatica, Retitalia, Esso Italiana, Beyflin, Tamoil Italia e Shell Italia - chiedendo di essere coinvolti nel rinnovo degli accordi collettivi aziendali il cui negoziato è partito lo scorso 16 dicembre a Roma con la partecipazione delle solite sigle. Riferendosi all’accordo capestro del 2014 nella nota dello studio Macciotta si denuncia che «mortifica i più basilari diritti dei gestori, integrando un grave abuso di dipendenza economica» vietato dalla legge. Le clausole accettate a suo tempo dai sindacati «che si qualificano come maggiormente rappresentativi della categoria» prevedono infatti «insostenibili condizioni economiche e di gestione, che impediscono di fatto ai gestori di organizzare liberamente la propria attività imprenditoriale». L’esempio più lampante è il «prezzo consigliato» del carburante che a giudizio dell’Angac viene invece «imposto al singolo gestore, pena l’attuazione da parte delle compagnie di una serie di azioni vessatorie». Come dire che ai gestori restano solo le briciole, margini di profitto che non bastano in molti casi neppure a coprire le spese della gestione. L’Angac «disconosce formalmente la validità degli attuali accordi aziendali e quelli futuri eventualmente assunti in difetto della rappresentanza legislativamente garantita». Il passo successivo potrebbe essere l’apertura di una vertenza giudiziaria civile.

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