La Nuova Sardegna

Condannato all’ergastolo l’assassino di Romina

di Luca Urgu
Condannato all’ergastolo l’assassino di Romina

Sini, guardia carceraria, ferì gravemente anche il fidanzato della donna

18 gennaio 2020
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NUORO. Ergastolo. Dopo circa tre ore di camera di consiglio ieri pomeriggio poco dopo le 16 e 30 il gup Claudio Cozzella ha emesso la sentenza leggendo il dispositivo in un’aula, quella del quarto piano del Tribunale, stracolma. Il verdetto per Ettore Sini, l’agente di polizia penitenziaria che il 31 marzo dello scorso anno uccise l’ex compagna Romina Meloni e ferì gravemente il suo fidanzato Gabriele Fois (anche ieri in aula), ha accolto interamente le richieste per il carcere a vita sollecitate dalla pubblica accusa nella precedente udienza. «Potevano dargli anche un mese, nessuno ci restituirà più Romina», commenta poco più tardi una nipote della donna uccisa. Per i pubblici ministeri Ireno Satta e Riccardo Belfiori la condanna non poteva che essere questa per le contestazioni mosse, ovvero l’ipotesi di omicidio volontario premeditato, al tentato omicidio, più un’ulteriore aggravante, esplicitata nella requisitoria, ovvero l’aver commesso il delitto per motivi abietti ed escludendo che il movente fosse la gelosia.

«È stata fatta giustizia». Appresa la sentenza tutti escono dall’aula, ormai troppo stretta per contenere quel fiume di emozioni. I familiari di Romina Meloni, le sorelle, i nipoti, i cognati, il suo compagno Gabriele Fois si ricompattano nell’atrio. «Siamo contenti. È stata fatta veramente giustizia e volevamo questo – commenta Gabriella Meloni – purtroppo sono stati mesi di sofferenza, ma siamo soddisfatti per la direzione in cui è andata la sentenza». «Ora vediamo come andrà dopo e se sarà appellata», dice Franca, un’altra sorella della vittima.

Le arringhe dei difensori. Quella di ieri era stata la giornata che aveva visto protagonisti gli avvocati Lorenzo Soro e Pasquale Ramazzotti, difensori di Ettore Sini. Le loro arringhe hanno occupato l’intera mattinata, con un suddivisione per grandi linee delle trattazioni, con l’avvocato Soro che si è concentrato maggiormente sulla ricostruzione del fatto nei suoi vari momenti per lasciare poi al collega Ramazzotti, un approccio sul filo del diritto. Per entrambi non c’è stato alcun dubbio sulle responsabilità del loro assistito. Innegabile che abbia sparato per uccidere l’ex compagna Romina Meloni e il suo uomo, Gabriele Fois, rimasto miracolosamente vivo dopo le gravi ferite riportate, però per i penalisti da parte di Ettore Sini non c’era alcuna premeditazione, così come non dovevano essere contestati i motivi abbietti. «Ettore Sini non ha pianificato l’omicidio. Quando è partito da Ozieri per raggiungere Nuoro avea la pistola che doveva utilizzare per abbattere un asino poi da macellare», hanno detto i legali. Poi la situazione sarebbe degenerata dopo una telefonata che Sini fece a Romina Meloni, che in quel momento si trovava a casa dei genitori di Fois. Un dialogo che avrebbe fatto perdere la testa all’ex agente di polizia penitenziaria soprattutto dopo che la donna ha pronunciato “parole taglienti come l’acciaio”, le ha definite Pasquale Ramazzotti che ha rimarcato assieme a Soro come «il delitto non fosse nato dalla scelta della Meloni di andare a vivere con un altro perché tra loro due si erano create e esistevano ancora delle complicità e delle speranze da parte di Sini di poter recuperare il rapporto».

Il delitto. Per i difensori dell’imputato il 31 marzo si crea un’altalena di illusioni e disillusioni. Quella telefonata a cui l’ex compagna inizialmente non voleva rispondere crea nell’uomo un corto circuito. «Il dialogo viene registrato da una sorella di Fois, quando Sini se ne accorge inizia a balbettare mentre la donna ha un atteggiamento aggressivo che contrasta con le normali comunicazioni, a tratti anche affettuose dei giorni precedenti», rimarcano gli avvocati. Sini arriva a Nuoro, si dirige verso la casa di via Napoli e scarica l’intero caricatore sulla povera Romina e su Gabriele Fois. Dopo i legali dell’imputato ha brevemente replicato la pubblica accusa. Poi la sentenza: ergastolo.

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