La Nuova Sardegna

Il dna di Bovale e Cannonau custodito in una banca dati

di Antonello Palmas
Il dna di Bovale e Cannonau custodito in una banca dati

Agris, due ricercatrici sassaresi mettono ordine nel panorama dei vitigni autoctoni Con il progetto Akinas individuato il profilo di 70 varietà analizzandone 2000

19 gennaio 2020
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SASSARI. Sulla scia del progetto Akinas di Agris, due ricercatrici dell'equipe di biologia molecolare dell’agenzia regionale, le sassaresi Maria Pia Rigoldi e Alessandra Frau, sono state in grado di creare una vera banca dati aggiornata sui vitigni autoctoni della Sardegna, ora a disposizione di tutti. Nel laboratorio di biologia molecolare di Agliadò, vicino a Platamona, nato nel 2011 su una struttura preesistente e allestito dalla Rigoldi, hanno individuato il profilo del Dna dei vitigni isolani, mettendo in condizioni aziende e cantine isolane di conoscere meglio il patrimonio a disposizione e poterlo valorizzare. Nessuna intenzione di sostituirsi all’unico ente certificatore autorizzato, il Crea di Conegliano, «quella dell’identificazione varietale è nata come servizio – spiega Maria Pia Rigoldi – per rimediare a un certo disordine e alle incertezze generatesi lungo i secoli, per cui ci sono nomi diversi attribuiti allo stesso vitigno, oppure due vitigni diversi con lo stesso nome, o alcuni che pur essendo presenti in Sardegna vengono da altre aree».

Hanno fatto un grandissimo lavoro – commenta Gianni Lovicu, responsabile Agris del settore vitivinicolo e coordinatore di Akinas, progetto sviluppatosi tra il 2013 e il 2016 – Fondamentale anche l’opera di inserimento nel registro nazionale delle varietà di vite e l’apporto dato alla piattaforma internet Italian vitis database, rendendo il materiale disponibile ad altri istituti di ricerca e a chiunque si voglia documentare». Settanta le nuove schede, che a breve diverranno 90, di vitigni presenti in Sardegna, per lo più autoctoni, recuperati e studiati col progetto Akinas, rivelatosi essenziale: il costo di queste ricerche si può sviluppare solo in presenza di progetti finanziati.

Le ricercatrici hanno acquisito oltre 2000 profili genetici di vitigni europei e di altri paesi del bacino del Mediterraneo, poi li hanno integrati con i dati di viti coltivate e selvatiche della Sardegna, rendendo la banca dati, associata a un sistema di confronto rapido creato ad hoc, strumento di identificazione unico al servizio della filiera vitivinicola isolana. Il risultato più interessante è essere riuscite a confermare il carattere identitario della viticoltura sarda grazie alla presenza di numerosi vitigni che rappresentano un “unicum”.

Tante le sorprese, qualcuna in negativo (quando si pensava di avere un unicum, ma si è scoperto che non è così) ma soprattutto tante in positivo. «Dietro i nomi Bovale sardo e Muristellu si nasconde lo stesso vitigno, ma sono diversi dal Bovali Mannu che è Cagnulari, mentre il Bovale grande di Spagna è il Carignano – racconta Alessandra Frau – E la Claretta del Logudoro invece corrisponde alla francese Bourboulenc. Il Grillu del sud Sardegna non ha niente a che vedere con il vitigno Grillo siciliano, perché corrisponde al vitigno romagnolo Pagadebiti». Sono stati poi individuati i “genitori” di alcuni vitigni autoctoni sardi. Ad esempio il Sinnidanu, conosciuto anche come Cannonau bianco, è il risultato dell'incrocio tra Cannonau e Galoppu; l'uva da tavola Gabriella discende dall'Apesorgia bianca in incrocio con il Moscatello; il Gregu nieddu condivide gli stessi “genitori” del Pascale di Cagliari, il Pansale, noto anche come Monica bianca e Mourvedre. Il Cannonau dorato o Doronadu è risultato essere figlio del Cannonau e della Granatza, mentre Cannonau e Apesorgia bianca hanno dato origine al Cannonau Rosonadu. L’apesorgia bianca è genitore di almeno 4 vitigni.

«Per individuare le varietà con certezza – spiega la Rigoldi – ormai non si usano più solo le caratteristiche fenotipiche, quelle legate all’aspetto, alla fioritura, ai tempi di maturazione, che possono subire delle mutazioni a causa dell’influenza dell’ambiente di coltivazione, ma ci si rivolge sempre più di frequente alla genetica, perché i pezzi di Dna sono fondamentalmente stabili. Siamo partite da una collezione di vitigni già in nostro possesso, altri siamo andati a cercarli in giro per l’isola. Abbiamo uniformato i dati raccolti a quelli reperiti su internet relativi a varietà di tutto il mondo per avere dei termini di paragone. Così abbiamo potuto affermare che, stando ai dati attuali, quel determinato vitigno è solo sardo oppure esiste anche altrove».

Interesse nell’ambiente delle aziende? «Parecchi riscontri positivi – risponde la Rigoldi – questo lavoro ha destato molta curiosità e qualche vitigno è stato persino sperimentato in fase di vinificazione con discreti risultati. Il nostro sogno da ricercatrici? Trasformare tutto ciò in un vero servizio rivolto al l’esterno».

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