La Nuova Sardegna

Mario Segni: «Il no al referendum è la sconfitta dei cittadini»

di Alessandro Pirina
Mario Segni: «Il no al referendum è la sconfitta dei cittadini»

Il padre delle riforme elettorali degli anni Novanta si scaglia contro la Consulta «Ha ceduto alle pressioni della politica. Salvini sbaglia linguaggio ma ha ragione»

19 gennaio 2020
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SASSARI. Per Mario Segni il no della Consulta al referendum rappresenta la definitiva archiviazione della stagione delle riforme di cui lui - negli anni Novanta - fu uno dei principali protagonisti. In quella pronuncia il leader referendario vede un riavanzare della partitocrazia che, a suo dire, era stata debellata proprio da quella valanga di sì che prima nel 1991 e poi nel 1993 avevano accompagnato i referendum. Insomma, un ritorno alla Prima repubblica, senza però i protagonisti di allora.

Segni, la Corte costituzionale ha bocciato il referendum sul maggioritario richiesto da otto consigli regionali, tra cui la Sardegna. Che idea si è fatto?

«Voglio dire una cosa chiara di cui mi assumo la responsabilità. La Corte ha sempre avuto un orientamento contrario ai referendum elettorali per una precisa pressione del potere politico. La storia è sempre stata questa. A cominciare dal 1991 quando, in seguito alla sfacciata pressione di Craxi, la Consulta bocciò due dei tre referendum elettorali. Due quesiti che nel 1993, dopo che battemmo Craxi due anni prima, furono riammessi. Insomma, cambiò il clima politico e la Corte li approvò in poche ore. Il dato storico è inequivocabile. È vero che mai più si sono visti casi di sottomissione come nel 1991, ma l’atteggiamento della Corte nei confronti del referendum è sempre stato contrario. Fino all’ultimo caso gravissimo del 2012, quando con Di Pietro e Parisi raccogliemmo un milione e mezzo di firme per tornare al referendum, ma la richiesta fu incredibilmente e incomprensibilmente bocciata dalla Corte».

Questa volta cos’è successo?

«Si è ripetuta la storia. La Corte è stata oggetto di pressione e ha sostanzialmente accolto quanto chiedeva la politica. Non ne ho le prove ma ne sono sicuro. La Consulta ha assimilato il principio di gran parte della politica: i referendum disturbano il manovratore e il manovratore non va disturbato».

Il no della Corte è un no a Salvini?

«La pressione ci sarebbe stata anche se Salvini fosse stato contrario al referendum. Oggi in Italia c’è una fortissima ostilità al maggioritario e c’è una tendenza ad aprire al proporzionale. Maurice Duverger, il massimo studioso dei sistemi elettorali, padre culturale della riforma gollista, sosteneva: la classe politica è sempre per sua natura favorevole al proporzionale, perché toglie potere ai cittadini e lo dà ai politici, mentre il maggioritario lo toglie ai politici per darlo ai cittadini».

Il Pd è sempre stato per il maggioritario, oggi spinge per il proporzionale. Cos’è cambiato?

«C’è un percorso politico evidentissimo in questi mesi. Il Pd si è accorto del fallimento sostanziale del governo e della impossibilità di creare una alleanza con il Movimento 5 stelle che possa vincere le elezioni. Il loro progetto - e non lo nascondono - è arrivare all’elezione del prossimo presidente della Repubblica. Non potendo vincere cercano un sistema in cui non vinca nessuno. È il cosiddetto metodo dell’avvelenamento dei pozzi».

Più o meno quello che accadde nel 2008 con l’approvazione del Porcellum.

«Esatto, lì ci fu la grande responsabilità di Calderoli. Il Porcellum fu ispirato dallo stesso principio: la destra sapeva di non poter vincere le elezioni e fece una legge che le permettesse di non perdere troppo. Siamo arrivati all’ultimo scalino con la stessa logica. È una storia che continua da allora».

Crede che per il maggioritario non ci siano più spazi?

«Guardi, lo dico con grande amarezza. Io ho dedicato gran parte della mia attività politica al cambiamento delle istituzioni. E - salvo miracoli - considero quella fase terminata. Questa decisione scellerata causerà all’Italia gravi problemi: senza fatti nuovi e imprevedibili il Paese sarà condannato a non avere stabilità di governo».

Alla Nuova Stefania Craxi, nel ricordare i rapporti non idilliaci tra lei e suo padre, ha detto che i referendum di Segni non hanno dato stabilità all’Italia.

«In tre elezioni diverse gli italiani hanno potuto scegliere tra destra e sinistra, tra Berlusconi da una parte e Prodi (e una volta Rutelli) dall’altra. Chi ha vinto le elezioni, tranne un caso, ha governato per tutta la legislatura. Certo, qualche governo è caduto ma la maggioranza che ha vinto ha sempre governato».

Mentre la Corte ha detto no al referendum, la maggioranza Pd-M5s-Renzi ha presentato il Germanicum.

«Le due cose sono legate. Le forti pressioni sulla Corte e la bocciatura del referendum dipendono dal fatto che la maggioranza si è orientata su un sistema opposto. Il che è legittimo. Ma sarebbe stato più democratico fare scegliere i cittadini. Come avvenuto per monarchia e repubblica. La Corte, invece, si è presa una fortissima responsabilità».

Salvini ha definito i giudici costituzionali “ladri di democrazia”.

«Se Salvini usasse un linguaggio più moderato sarebbe meglio e farebbe meno autogol, ma il concetto è giusto».

Del Germanicum non salva niente?

«La cosa che mi dà più fastidio è che lo chiamino così, quando la Germania non c’entra nulla. Questo sistema non solo sarà proporzionale ma avrà le liste bloccate, scelte dai partiti, mentre il sistema tedesco prevede collegi uninominali in cui ogni candidato si confronta con gli avversari. Seconda cosa: in Germania c’è uno sbarramento del 5 per cento, mentre da noi è un 5 per cento che già prevede diritti di tribuna. Senza contare che solitamente si inizia con il 5 e poi quando le leggi si approvano si arriva a livelli assai più bassi. Ultima cosa, ma non meno importante: è vero che anche in Germania il meccanismo scarsamente maggioritario sta provocando problemi, ma il fatto che ancora ci siano i grandi partiti attutisce il colpo».

Il leghista Giancarlo Giorgetti ha proposto un ritorno al Mattarellum.

«Dico: magari. Ma non mi faccio illusioni. La sentenza della Corte chiude tutto, siamo a una svolta storica che io considero deleteria per l’Italia. E voglio fare di tutto perché i cittadini se ne accorgano».

Negli anni Novanta intorno a lei si creò un gruppo trasversale che si scontrò con i grandi partiti e poi trionfò nei referendum. Pensa potrebbe ripetersi uno scenario del genere?

«Oggi non c’è alcuna possibilità di fare questa battaglia. Allora eravamo all’indomani del crollo del muro di Berlino, in un mondo pervaso da uno straordinario fiume di speranza e desiderio di cambiamento. Quella delle riforme fu la battaglia della speranza, perché potevamo diventare una democrazia moderna. Oggi si dovrebbe ricreare un clima di questo genere, ma la classe politica è interamente interessata all’occupazione del potere e il Paese appare rassegnato e confuso».

Vede qualche giovane leader che potrebbe riaccendere la speranza?

«Non voglio dire che debbano ancora nascere, ma non ce ne sono».

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