La Nuova Sardegna

Il convivente può mentire? Caso in Cassazione

di Mauro Lissia
Il convivente può mentire? Caso in Cassazione

Attesa per la decisione delle sezioni unite sul ricorso di due legali sardi contro un condanna penale

22 gennaio 2020
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CAGLIARI. Se la semplice convivenza non garantisce alcun diritto civile alle coppie di fatto, sul fronte penale dividere una casa e la quotidianità potrebbe assicurare le stesse facoltà riconosciute al coniuge, compresa quella di astenersi dal testimoniare e di mentire in un processo per non nuocere al compagno di vita. Tutto dipende da una prossima decisione della Corte di Cassazione a sezioni unite, che in base all’ordinanza firmata dai giudici supremi della sesta sezione penale dovrà pronunciarsi sul ricorso presentato dagli avvocati cagliaritani Daniela Cicu e Pierluigi Concas contro una sentenza della Corte d’Appello sarda. Sarà una decisione di grande interesse, perché servirà a dirimere - almeno come indicazione rivolta al legislatore - un contrasto giurisprudenziale con forti connotazioni sociali vecchio di decenni e complicato nel 2016 dalla legge Cirinnà, che ha regolato le unioni civili tra persone dello stesso sesso ma ha lasciato fuori le convivenze non formalizzate con la registrazione.

Origine del ricorso ai magistrati romani di piazza Cavour è stata un incidente stradale con feriti avvenuto otto anni fa a Gonnesa: alla guida dell’automobile responsabile del sinistro era un uomo senza patente, ma per salvarlo da una condanna pesante la sua convivente disse ai carabinieri che al volante c’era lei. Condannata per favoreggiamento personale in primo e secondo grado, la donna ha rivendicato attraverso i suoi legali l’esimente dell’articolo 384 del codice penale, che prevede il diritto di astenersi dalla testimonianza e anche di mentire in giudizio per non danneggiare dicendo la verità un familiare imputato di un reato. Quel diritto però è riservato ai “prossimi congiunti” e la legge non comprende fra questi le persone conviventi more uxorio, cui le norme non l’hanno mai esteso esplicitamente per la mancanza del vincolo coniugale. La legge civile esclude qualsiasi diritto alle coppie non registrate, quella penale è stata applicata negli anni in modo ondivago e le pronunce della Cassazione, precedute e seguite da quelle della Corte Costituzionale, hanno seguito linee diverse: da una parte - scrive il giudice estensore Angelo Capozzi - «l’esigenza della repressione di delitti contro l’amministrazione della giustizia, dall’altra la tutela di beni afferenti la vita familiare». Così, se la Corte Costituzionale ha ritenuto «non illegittima l’esclusione dal novero dei soggetti indicati dall’articolo 384 (quelli non punibili anche se mentono in giudizio, ndr) del convivente di fatto, giustificando il diverso trattamento delle diverse situazioni» la Grande Camera della Corte di Strasburgo ha bocciato l’obbligo di testimonianza in procedimenti penali a carico del convivente, con la negazione - come avviene in Italia - della facoltà di astensione riconosciuta al coniuge e convivente registrato. Una posizione, quella europea, di cui il Parlamento italiano deve tener conto.

Insomma, il caso sollevato dai due avvocati cagliaritani ha riaperto e riportato all’attenzione generale una questione certamente importante sul piano giuridico perché incide sull’andamento dei procedimenti penali, ma forse ancora più importante sul piano sociale perché l’estensione dell’articolo 384 ai conviventi non registrati segnerebbe un punto a favore di chi sostiene il primato del rapporto sentimentale umano sui formalismi della legge.

La decisione della sesta sezione penale di rimettere il ricorso arrivato da Cagliari alle sezioni unite potrebbe essere un segnale di svolta, la scelta di fare chiarezza su questo tema trovando finalmente la sintesi fra gli orientamenti sembra indicare anche al Parlamento come i tempi per elaborare una legge siano maturi.

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