La Nuova Sardegna

Nell’oasi tunisina non solo datteri ora si pesca grazie ai sardi

di Antonello Palmas
Nell’oasi tunisina non solo datteri ora si pesca grazie ai sardi

Nel nord Africa l’associazione “Alleviare la povertà” insegna l’acquacoltura.  Nei vasconi per irrigare si allevano pesci da mangiare e per produrre concime

07 febbraio 2020
3 MINUTI DI LETTURA





SASSARI. Insegnare ad allevare pesci agli agricoltori delle oasi del deserto. A un primo sguardo sembrerebbe un’idea folle, ma è ciò che sta facendo in Tunisia il medico terralbese Andrea Cadelano, esperto di cooperazione, con la sua associazione Alpo (acronimo che significa Alleviare la povertà onlus). Perché l’abusato slogan “aiutiamoli a casa loro” può essere utilizzato oltre la propaganda elettorale e c’è chi è capace di metterlo in pratica per davvero. Anche facendo diventare pescatori i contadini. E creando un ciclo virtuoso tra agricoltura e acquacoltura che sta sollevando l’interesse anche in Sardegna, dove c’è chi si sta informando su come imitare l’iniziativa avviata ai margini del Chott el-Jerid, il grande bassopiano salato nel sud del Paese, utilizzando specie di pesci adatte al suo clima.

Si tratta del progetto “Sviluppo per l’occupazione giovanile nel settore della pesca d’acqua dolce nella regione di Tozeur-Tunisia”, finanziato per tre quarti dalla Regione Sardegna e partito nel dicembre del 2018. Si sviluppa grazie alla collaborazione tra l’associazione Alpo (che opera per l'equità, la solidarietà, la giustizia senza distinzione di sesso, razza, cultura o credo religioso), la cooperativa di pesca “L’ammiraglio” di Terralba e il tunisino Groupement de developpement Oued Elkoucha. «Il nostro è un piccolo progetto, 47 mila euro di costo totale viaggi compresi – spiega Cadelano – una goccia nel mare, ma così proviamo a vincere la povertà di quelle aree e magari riusciamo a far cambiare idea a qualcuno che vorrebbe salire sui barconi per raggiungere l’Europa, dandogli una prospettiva in più per restare».

[[atex:gelocal:la-nuova-sardegna:site:1.38441542:gele.Finegil.Image2014v1:https://www.lanuovasardegna.it/image/contentid/policy:1.38441542:1654520754/image/image.jpg?f=detail_558&h=720&w=1280&$p$f$h$w=d5eb06a]]

L’idea di base, innovativa per il settore, è introdurre nelle politiche agricole del paese africano un nuovo elemento (l’acquacoltura) che dovrebbero contribuire a diversificare l’assetto agricolo tradizionale di quelle aree basato in prevalenza sulla produzione di datteri. Lo scopo è migliorare la redditività dei piccoli agricoltori e rafforzare la motivazione dei giovani che sono impegnati nel settore. Più esattamente, si è pensato di sfruttare le grandi vasche, utilizzate per irrigare le piantagioni di datteri, anche per l’allevamento ittico in un ciclo virtuoso nell’utilizzo delle risorse idriche e nella prospettiva di avviare nuove produzioni agricole biologiche. «Da una parte gli abitanti del luogo hanno ora a disposizione pesce fresco e di qualità, cosa che normalmente non accade – spiega Andrea Cadelano – dall’altra le scorie prodotte dai pesci, appartenenti alla specie Tilapia nilotica, diventano un ottimo concime biologico per le coltivazioni».

Un gruppo di coltivatori di sei coltivatori di datteri, tra cui due donne, nell’area oasistica di Degache, governatorato di Tozeur, sono stati formati per introdurre questa novità a basso contenuto di conoscenza specialistica, che non necessita di particolari mezzi tecnologici: un’attività routinaria per alimentare i pesci, il controllo del livello di ossigenazione dell’acqua, la manutenzione delle vasche eliminando le piantine “secche”, la verifica dello stato di salute dei pesci per evitare eventuali morie, la raccolta dei reflui e il mantenimento dell’ambiente circostante pulito ed ordinato.

«Ai tunisini, formati da un tutor – dice Cadelano – sono stati forniti una dotazione minima di avannotti e alimenti per un primo periodo di avvio, una pompa che permetterà di tenere sempre il livello ottimale di ossigeno. Sono stati ristrutturati alcuni vasconi».

L’associazione Alpo, che negli anni ha operato anche in Kossovo, Albania e Repubblica del Congo, ha sempre posto particolare attenzione alla condizione della donna (nel 2014 sempre in Tunisia avviò un’iniziativa di formazione e sensibilizzazione sul tema del tumore al seno). In questo caso ha puntato a un cambiamento del ruolo delle donne in settori generalmente considerati maschili, favorendo un clima di uguaglianza professionale in un’area che ha ancora bisogno di compiere qualche passo avanti sotto questo aspetto. I risultati già si vedono, sotto il profilo sociale ed economico. La prossima sfida: l’iniziativa ora dovrà imparare a sostenersi da sola, esclusivamente con il lavoro dei coltivatori-pescatori.
 

In Primo Piano
L’intervista

Giuseppe Mascia: «Cultura e dialogo con la città, riscriviamo il ruolo di Sassari»

di Giovanni Bua
Le nostre iniziative