La Nuova Sardegna

Riconversione energetica, fondi al Sulcis Iglesiente

di Giuseppe Centore
Riconversione energetica, fondi al Sulcis Iglesiente

Il sud Sardegna privilegiato con Taranto, ma il confronto è ancora aperto

27 febbraio 2020
4 MINUTI DI LETTURA





CAGLIARI. Chi si aspettava una valanga di soldi, destinati a ridefinire il sistema energetico e produttivo nazionale e locale rimarrà deluso. Ma non perchè l’Unione Europea ha improvvisamente stretto i cordoni della borsa, ma perchè questi non sono mai stati aperti in quella misura. Da Bruxelles però ieri è arrivata comunque una buona notizia per l’isola, anche se riguarda solo uno dei due territori compromessi e interessati alla transizione energetica, quello di Portovesme.

Nel report dedicato all’Italia per quest’anno la Commissione ha dedicato tre pagine agli investimenti per la transizione energetica, uno dei pilastri del Green new deal voluto dalla presidente Ursula von Der Leyen e approvato dal Parlamento Europeo nelle scorse settimane. I 364 milioni che, dal 2021, saranno messi a disposizione dal nuovo Fondo europeo per la transizione equa andranno infatti a Taranto e al Sulcis Iglesiente. La decisione non è definitiva, perchè adesso, come ha detto ieri in conferenza stampa la commissaria alla Coesione Elisa Ferreira, partirà un confronto con l’Italia per affinare lo strumento, ma la scelta di Bruxelles appare chiara. Taranto e il Sud Sardegna.

Le motivazioni sono nello stesso report. Quasi scontato l’intervento per Taranto che «ospita una delle più grandi acciaierie d'Europa e una delle tre più grandi centrali elettriche a carbone in Italia», ricorda la Commissione. Decine di migliaia di posti di lavoro «sono a rischio», avverte l'esecutivo, che vede una «sfida imponente riguardante la decarbonizzazione e richiede un grande sforzo nel supportare una strategia per la transizione integrata, e accompagnare Taranto verso un passaggio a lungo termine verso alternative economiche e ulteriori sviluppi del cluster dell’acciaio».

Meno attesa soprattutto perchè guarda anche alla situazione globale del territorio e non solo all’aspetto produttivo, oggi assente, la scelta del Sulcis-Iglesiente. Bruxelles ricorda che l'ultima miniera a carbone italiana, a Monte Sinni, sarà chiusa tra pochi anni. «L'area è già caratterizzata da un’alta percentuale di abitanti anziani, pochi laureati e un'alta percentuale di disoccupazione giovanile (35.7%), un basso reddito pro capite e una generale bassa qualità della vita», scrive la Commissione, «questo pone sfide legate alla transizione e al bisogno d'investimenti». Il nuovo Fondo europeo dovrebbe quindi concentrarsi sulla «rigenerazione e la bonifica dei siti», «l'economia circolare», «pmi e startup», ma anche politiche di formazione e inclusione occupazionale.

Sicuramente a Bruxelles sanno che la miniera non è più attiva da anni e che la sua messa in sicurezza è in corso proprio per decisione europea, con fondi comunitari. Da quel sito non si estrae neanche un chilo di carbone per la vicina centrale, una delle dodici centrali di quel tipo in Italia, e esistono già percorsi per attivare nuove iniziative produttive e di ricerca utilizzando le gallerie, come il progetto Aria.

Difficile immaginare una realtà più diversa da Taranto, attiva, produttiva e inquinante. Oggi il sito interessato al progetto non è attivo, forse un giorno sarà produttivo, certo non è attivamente inquinante.

Il Just Transition Fund però non è tutto il Green new deal, ma solo una parte. L’Italia nei prossimi anni dovrà mobilitare altre imponenti risorse sul fronte ambientale e di riqualificazione. E qui potrebbe entrare in gioco la vera transizione energetica, che per il nostro paese è rappresentata dalla presenza di diverse (ma pochissime rispetto alla Polonia) centrali a carbone, due delle quali in Sardegna, a nord e a Sud. In questa partita, ancora tutta da giocare, ma che vede Germania e la stessa Polonia piazzate in prima fila, il nostro paese dovrà giocare le sue carte, lavorando per ricevere assistenza nella fase che precederà l’addio al carbone. Gli esempi degli altri paesi purtroppo non ci aiutano. La Germania ha attuato una strategia a tenaglia: da un lato ha raddoppiato l’ingresso del gas russo, dall’altro si prepara a concedere alle imprese che producono energia dal carbone e ai loro territori 40 miliardi di euro per la transizione, la bonifica e le future attività nelle aree dove insistono le centrali. La Germania però ha i soldi. Noi no. Ecco perchè i nostri piani del Green new deal, sono ancora abbozzati se non riservati: la coperta finanziaria è corta e difficilmente con gli interventi comunitari si potranno completare le quattro priorità sarde: bonifica delle aree a Porto Torres e Portovesme, chiusura e riconversione delle due centrali. Chi rimarrà fuori dai giochi dovrà provare a mettere risorse proprie per non perdere asset comunque strategici.

@gcentore. ©RIPRODUZIONE RISERVATA



In Primo Piano
L’incidente

Scontro frontale sulla Sassari-Olbia, cinque feriti in codice rosso

Le nostre iniziative