La Nuova Sardegna

«Mi rivolgo alle donne: denunciate le violenze»

di Daniela Scano
«Mi rivolgo alle donne: denunciate le violenze»

La ministra dell’Interno dopo i recenti femminicidi nel nord dell’isola: «Nessun comportamento può giustificare aggressioni, minacce o offese»

08 marzo 2020
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SASSARI. Mai più donne in balìa di uomini violenti. «Denunciate sempre, anche episodi che sembrano marginali ma non lo sono». Nella giornata della donna Luciana Lamorgese, ministra dell’Interno, parla di violenza di genere ed esorta le potenziali vittime a fidarsi e ad affidarsi alle forze dell’ordine. Ma la ministra affronta anche i temi caldi del Cpr di Macomer e degli attentati: «la risposta dello Stato sarà coerente e rigorosa».

Ministra Lamorgese, negli ultimi giorni, a Seui e a Bolotana, una caserma e un operatore del Corpo Forestale della Sardegna sono stati oggetto di violente intimidazioni. I simboli e i rappresentanti delle istituzioni ritornano nel mirino. C’è una nuova emergenza nell’isola?

«Mi sento di escludere una situazione di emergenza in tema di intimidazioni ai rappresentanti delle istituzioni. Sui due episodi l’autorità giudiziaria e le forze di polizia stanno effettuando i necessari approfondimenti al fine di individuare gli autori. Il Ministero dell’Interno presta grande attenzione a tutti gli episodi di intimidazione. Ricordo in particolare che è stato costituito presso la Prefettura di Cagliari un “Osservatorio regionale sul fenomeno degli atti intimidatori nei confronti degli amministratori locali”, composto dai prefetti delle province sarde, dalle forze di polizia, dalle autorità giudiziaria e scolastiche regionali nonché da rappresentanti degli enti locali. La fenomenologia degli atti intimidatori in questa bellissima regione non riguarda unicamente i simboli dello Stato, ma coinvolge anche altri soggetti, come imprenditori e titolari di esercizi commerciali. Nel condannare fermamente tutti gli episodi di intimidazione, occorre analizzare le ragioni alla base delle azioni minatorie per poter rimuovere alla radice le cause del problema. La risposta dello Stato è e sarà coerente e rigorosa».

Esiste una strategia per arginare questo fenomeno?

«Le Forze di polizia garantiscono un impegno incessante ed un’azione quotidiana di prevenzione e contrasto di ogni forma di illegalità. Particolari misure di tutela vengono disposte nei casi più gravi nei confronti delle vittime di minacce o danneggiamenti. Per rendere ancora più efficace l’attività di controllo del territorio, lo scorso 25 febbraio, presso la prefettura di Nuoro, in sede di comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, sono stati valutati favorevolmente nuovi progetti per l’installazione di telecamere per monitorare punti strategici all’interno di alcuni territori comunali, in un’ottica di sicurezza partecipata».

Sono state messe in atto altre iniziative di prevenzione?

«Da parte del Ministero dell’Interno e delle Forze di Polizia l’azione di contrasto ad ogni forma di illegalità anche in questa regione continua incessantemente ed in maniera incisiva. Nel 2019 nella regione Sardegna sono state denunciate 15.564 persone ed arrestate 3.143. Le misure più ambiziose riguardano le “politiche culturali”, ossia la sensibilizzazione e la sinergia con tutte le componenti della società civile, da coinvolgere costantemente».

Le forze dell’ordine fanno quel che possono per garantire la sicurezza dei cittadini, ma sono costrette a operare con organici e mezzi ridotti. La popolazione chiede invece un rafforzamento della presenza dello Stato. Quali sono i programmi del ministero?

«In Sardegna sono dislocati più di settemila operatori delle forze dell’ordine tra polizia di stato, carabinieri e guardia di finanza. Per la Polizia di Stato, nel 2019 sono state inviate 91 unità di rinforzo mentre altre 72 ne arriveranno nel 2020. In tutte le province dell’isola sono stati stipulati numerosi patti per la sicurezza urbana. Inoltre ci sono 500mila euro già destinati dal ministero dell’Interno al finanziamento degli impianti di video sorveglianza per alcuni comuni delle province di Sassari e Nuoro. L’impegno del governo è quello di salvaguardare i presidi di polizia, nell’ambito di un piano di potenziamento degli organici, ma anche quello di razionalizzazione delle risorse disponibili per garantire servizi sempre più efficienti ed una presenza forte e costante dello Stato sul territorio».

In Sardegna negli ultimi mesi ci sono stati due nuovi terribili casi di femminicidio. Lo Stato ha preso importanti provvedimenti per contrastare la violenza di genere ma le donne continuano a morire per mano degli uomini. Lo Stato può fare qualcosa di più per fermare questa strage?

«In Italia, sul fronte della violenza di genere, l’intervento dello Stato ormai è caratterizzato da importanti interventi normativi non solo sul versante repressivo, ma soprattutto preventivo. Le Forze di polizia sono incessantemente impegnate nel contrasto delle molteplici forme di delittuosità che vengono commesse nei confronti delle donne, anche tra le mura domestiche. È necessario tuttavia porre in campo azioni a 360 gradi che coinvolgano più attori, istituzionali e privati, impegnati con l’unico obiettivo di valorizzare una cultura del rispetto della donna nella sua interezza. Quello che è stato fatto fino ad adesso è molto, ma il percorso è ancora lungo e necessita di un cambiamento culturale e di una sensibilizzazione della società civile».

La società, la scuola, la famiglia devono fare la loro parte...

«Ancor prima di un intervento repressivo, il fenomeno della violenza di genere necessita di una promozione della cultura di genere, che in modo sistemico miri ad eliminare retaggi culturali inaccettabili. Abbiamo bisogno di un vero cambio di passo che parta dal coinvolgimento delle nuove generazioni».

Troppo spesso le donne vittime di violenza hanno paura di parlare. La capacità di ascolto, da parte delle forze dell’ordine, è fondamentale.

«In questa direzione, un’attenzione particolare è rivolta alla formazione delle donne e degli uomini delle Forze di polizia per accrescerne i livelli di professionalità al fine di garantire la tutela delle donne vittime di violenza. Oggi gli operatori delle nostre Forze dell’ordine, hanno acquisito competenze di altissimo profilo e sviluppato grande sensibilità, nell’approccio e nella trattazione di tutte le situazioni più delicate, che possono riguardare vittime donne ma anche minori. Mi piace ricordare che tra i ruoli della polizia di stato e dei carabinieri sono presenti anche figure professionali quali medici e psicologi, che svolgono attività di supporto e sostegno alle vittime oltre che di formazione a tutto il personale».

Ritiene che l’educazione delle nuove generazioni vada al passo con quello dello Stato o, in qualche caso, sia ancora condizionata dal maschilismo che spinge certi uomini a considerare la donna cosa propria?

«Da tempo abbiamo maturato la consapevolezza che sia necessario intervenire attraverso un’incisiva opera di sensibilizzazione della società civile e con progetti di educazione alla legalità nelle scuole. Nel 2016 è stata avviata la campagna “Questo non è amore…” e quella del “Camper della Polizia contro la violenza di genere” per offrire a tutte le donne il supporto di una squadra multidisciplinare fatta di psicologi, medici, investigatori, operatori dei centri antiviolenza. Le donne che subiscono violenza, quando si rivolgono agli uffici di polizia sono ascoltate da personale specializzato, informate e messe in contatto con i centri antiviolenza presenti sul territorio e indirizzate nel percorso di tutela più idoneo al loro caso. In numerose Questure sono stati creati luoghi riservati, dedicati all’ascolto delle “vittime vulnerabili” e “stanze per l’audizione protetta” comode ed accoglienti ove, accanto ad un ufficiale di polizia giudiziaria, è presente anche uno psicologo dedicato. Anche nelle strutture dell’Arma dei carabinieri è stata prevista la creazione di “Una stanza tutta per sé”, per l’ascolto delle vittime”.

Sono tante le proposte per mettere in protezione le donne a rischio. Una è quella del braccialetto elettronico alla prima violazione del divieto di avvicinamento. Lei cosa pensa della loro applicabilità nel concreto?

«Numerosi sono stati gli interventi legislativi volti alla protezione della donna vittima di violenza, che hanno introdotto misure specifiche: tra le altre, il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, l’ammonimento del Questore, come deterrente ad ulteriori comportamenti che possano poi sfociare nel reato di atti persecutori, l’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare. Un’ulteriore importante risposta dello Stato è il “Codice Rosso” che ha introdotto nuove tipologie di reato finalizzate a perfezionare i meccanismi di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere già esistenti. Dopo soli sei mesi dall’entrata in vigore della legge, le Forze di polizia hanno già registrato numerose denunce per queste nuove fattispecie di reato. Un impulso decisivo è stato riconosciuto alla trattazione delle denunce ed all’ascolto della donna. Il pubblico ministero infatti adesso ha tre giorni di tempo per ascoltare la vittima ed eventuali testimoni. Inoltre, con la stessa legge è stata ampliata l’applicabilità del braccialetto elettronico ai casi di lesioni personali aggravate e minacce aggravate, commesse nei confronti dei prossimi congiunti o del convivente.

Cosa si sente di consigliare alle donne che stanno vivendo una situazione di violenza fisica o psicologica?

«A loro mi sento di dire innanzitutto di riporre grande fiducia nelle forze di polizia e di non aver timore a denunciare tutti gli episodi, anche quelli che possono sembrare di marginale importanza. Occorre comprendere che nessun comportamento, gesto o scelta di vita può mai giustificare violenza, aggressione, minacce e offese. Nessun uomo può arrogarsi il diritto di gestire la vita, le scelte e i sentimenti delle donne. Ci sono tante donne nelle Forze di polizia, che sono anche mamme, donne sensibili, esperte, pronte ad ascoltare, a dare consigli, a indicare un percorso che aiuti a districarsi dalla rete di paure e di silenzi, per spiegare che uno schiaffo è già un reato, o anche solo per far sentire le vittime meno sole».

In Sardegna è esploso il caso del Cpr di Macomer, dove si sono verificati numerosi episodi di violenza e di malessere. Il caso è alla sua attenzione?

«Certamente, stiamo seguendo la situazione con grande attenzione. Dall’apertura del Centro si sono registrati alcuni episodi di violenza nella struttura da parte di alcuni ospiti, essenzialmente sfociati nel danneggiamento di porte, finestre e arredi vari. Gli episodi sono stati contenuti dalle Forze di polizia presenti senza, peraltro, ricorrere all’uso della forza mentre gli 8 presunti responsabili dei danneggiamenti sono stati deferiti all’Autorità Giudiziaria. Mi sento, quindi, di rassicurare gli abitanti di Macomer e della Sardegna. Abbiamo grande attenzione per quel territorio».

A Macomer il personale civile non si sente adeguatamente protetto in caso di eventuali rivolte. Poi c’è la crescente insofferenza degli uomini che sono trattenuti nel centro in condizioni di “semi detenzione”. E c’è la comunità macomerese, che si sente sotto assedio per la presenza massiccia di presidi militari. Da qualsiasi parte la si guardi, questa situazione deve essere affrontata, a tutela di tutti. Ma come?

«È evidente che la stretta e proficua collaborazione tra gli operatori del centro e le Forze di polizia è fondamentale. Prima dell’attivazione del centro si è verificata una mobilitazione da parte di un comitato di cittadini per protestare contro la sua apertura. Il 25 febbraio in sede di Comitato provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica è stato valutato favorevolmente un progetto presentato dal comune di Macomer per l’installazione di un sistema di video sorveglianza proprio per monitorare punti strategici del territorio, in un’ottica di sicurezza partecipata».

Un anno fa in Sardegna ci fu la “rivolta del latte” con eclatanti gesti dimostrativi, ma anche con atti violenti. Il suo predecessore, Matteo Salvini, in piena campagna elettorale rassicurò i pastori e promise che avrebbe risolto tutto in pochi giorni. Non è accaduto e nel frattempo i procedimenti penali nei confronti di centinaia di uomini e donne stanno arrivando nelle aule dei tribunali. Come si comporterebbe lei in una situazione analoga?

«Quanto ai profili e agli sviluppi di esclusiva competenza degli uffici giudiziari, mi rimetto alle loro valutazioni. Un anno fa, a seguito dell’acuirsi delle proteste degli allevatori sfociate in plateali manifestazioni pubbliche, è stato certamente opportuno l’intervento del governo e dei prefetti per scongiurare più gravi turbamenti dell'ordine e della sicurezza pubblica. Ma allo stesso tempo la previsione, prospettata a tratti con enfasi, di giungere in tempi brevi alla soluzione dell’annosa questione del prezzo del latte non è stata, a mio avviso, realistica né realizzabile in tempi brevi, considerati i contrastanti interessi delle parti».

Oggi, dal suo osservatorio, come valuta la situazione?

«La situazione non ripropone, allo stato, i picchi di tensione sociale che si determinarono lo scorso anno. Recentemente si sono verificati alcuni episodi che sono all’attenzione delle forze di polizia. Occorre dunque insistere sulla strada del dialogo per cercare di dare una soluzione alle diverse istanze, tenuto conto che il tema di grande impatto per l’economia dell’Isola. La vertenza riguarda delicati equilibri di mercato tra gli industriali del comparto e le circa 15000 aziende di allevatori molto diverse tra loro per dimensioni e con esigenze e rappresentanze differenziate».

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