La Nuova Sardegna

Coronavirus, mazzata per l'economia sarda: tre miliardi vanno in fumo

Umberto Aime
Coronavirus, mazzata per l'economia sarda: tre miliardi vanno in fumo

L'Aspal ha analizzato gli effetti del Covid-19 sul fragile tessuto imprenditoriale. Il turismo in ginocchio, 30mila posti di lavoro cancellati. Pil in calo tra l'1 e il 3%

20 marzo 2020
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CAGLIARI. L'apocalisse economica è appena agli inizi. Oltre a quello che già accade ogni giorno, dai negozi chiusi alle fabbriche quasi ferme, nei prossimi mesi, il coronavirus avrà un effetto collaterale e devastante dovunque. In Sardegna addirittura potrebbe andare persino peggio. Con un perdita secca di oltre 2 miliardi e mezzo nel fatturato se la crisi dovesse durare anche solo fino a dicembre, ma arriverebbe a sfondare il muro dei tre se gli effetti nefasti dovessero proseguire nel 2021.

Stando a uno studio dell'Agenzia per il lavoro, l'Aspal, il perché del possibile (non augurabile) disastro è presto svelato: oltre il 10 per cento del Prodotto interno lordo regionale, 3 miliardi abbondanti su 34,5, è realizzato dal turismo. E proprio il turismo sarà una delle macro voci destinate a pagare il prezzo più alto per colpa della pandemia, e la Sardegna, si sa, gran parte della ricchezza la porta a casa d'estate proprio grazie alla filiera delle vacanze. Con il calo drammatico delle prenotazioni, solo a marzo è stato del 70 per cento, potrebbe scatenarsi un micidiale effetto domino non solo sui conti delle imprese, ma su tutto l'indotto, agricoltura compresa, che da sempre ruota intorno al turismo da Pasqua a settembre inoltrato. Di conseguenza a subire un crollo sarebbe anche l'occupazione, con uno scivolone da cui potrebbe non essere facile riprendersi. Soprattutto perché la Sardegna, già fragile, non arriva da anni di vacche grasse.

Turismo sotto shock. L'analisi dell'Aspal parte dal miliardo e mezzo che i turisti italiani e stranieri spendono in Sardegna a nella stagione estiva. Se fra qualche mese il calo degli arrivi dovesse essere intorno al 10 per cento, è l'ipotesi meno grave, la perdita secca sarebbe intorno ai 160 milioni. Quasi il triplo, 473 milioni, se gli arrivi dovessero crollare sotto i 2,3 milioni, nel 2018 sono stati 3,2 milioni. Fino a un allucinante meno 50 per cento del fatturato, 880 milioni, se i turisti non dovessero essere più di un milione e mezzo. Sono numeri che potrebbero essere ancora più sconvolgenti se in questo bilancio fosse conteggiato anche il sommerso: almeno un turista non registrato ogni due censiti. Non ci sono dubbi: sarà la filiera delle vacanze a subire i contraccolpi peggiori.

Occupazione a picco. In un'altra tabella l'Aspal ipotizza quali potrebbero essere gli effetti sui posti di lavoro legati, in un modo o nell'altro, al turismo. Dal 2018 la media delle buste paga è stata intorno alle 65mila unità, più 10mila autonomi e un indotto di almeno altrettanto. Nella situazione peggiore, con un calo del 50 per cento degli arrivi, sarebbero oltre 30mila i posti di lavoro cancellati solo fra i dipendenti di hotel e ristoranti. Mentre il contorno rischierebbe addirittura di sparire o ridimensionato della metà. Tutto questo considerando che negli ultimi anni sono state proprio le assunzioni nel turismo a far da contraltare al calo degli occupati in altri settori economici. Dunque, un secondo disastro e sempre per colpa del coronavirus.

Effetto sul Pil. In una terza tabella, quella riassuntiva, l'Aspal calcola anche il possibile impatto della pandemia sul Prodotto interno lordo regionale. Gli analisti hanno ipotizzato una forbice negativa fra il meno uno e meno tre per cento. Nel caso peggiore la perdita secca immediata sarebbe di mezzo miliardo, con un ritorno precipitoso ai valori del 2016. Vorrebbe dire veder spazzato via, in pochi mesi, quel poco di buono accumulato. L'apocalisse, in una parola sola.

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