La Nuova Sardegna

La testimonianza di una 44enne: «Ho creduto di morire, ora dico: state attenti»

di Alessandro Pirina
La testimonianza di una 44enne: «Ho creduto di morire, ora dico: state attenti»

Laura, di Carbonia, per 7 giorni è stata ricoverata al Niguarda di Milano: «Sono clinicamente guarita, ma il mio compagno lotta in terapia intensiva»

23 marzo 2020
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SASSARI. Laura è guarita dal coronavirus, il suo compagno è in terapia intensiva che combatte. Lei a casa in isolamento in attesa di fare il tampone liberatorio, lui attaccato alle macchine del Niguarda. Laura Cosseddu, 44 anni, originaria di Carbonia, dipendente di un’agenzia di design a Milano, oggi è sulla via della guarigione, ma gli ultimi 20 giorni sono stati i peggiori della sua vita. «Io ho vissuto tanti altri momenti difficili, ho avuto anche un brutto incidente in cui ho rischiato la paralisi, ma nulla è stato come la settimana passata nel reparto di malattie infettive. Una situazione indescrivibile, sei consapevole di essere malato, ma non sai come andrà, perché nessuno conosce questa malattia». Laura racconta la sua terribile esperienza da Milano, ma con in testa la sua Sardegna, perché «in Lombardia c’è una sanità eccezionale. Siamo al collasso ma reggiamo. Se quello che sta succedendo al Nord dovesse verificarsi in Sardegna sarebbe una strage, una carneficina».

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Ed è proprio per il terrore che il Covid-19 si manifesti in maniera massiccia nell’isola che Laura Cosseddu ha scelto di raccontare il suo incontro con la peste del nuovo millennio. «L’inferno, perché di inferno si tratta, è iniziato la mattina del 24 febbraio – racconta –. A Milano c’era già un po’ di allerta, perché il 21 era esplosa la situazione a Codogno, ma noi abbiamo continuato a fare le nostre vite. Io quella mattina sono andata al lavoro. Avevo un po’ di tosse e ho comunicato che avrei lavorato da casa per tutta la settimana. A un certo punto al mio compagno è salita la febbre, sembrava avesse la classica influenza. Abbiamo chiamato il medico, ha prescritto un antibiotico ma non scendeva. Ho iniziato a preoccuparmi, anche perché per tre giorni non ho chiuso occhi per un ferocissimo mal di testa, febbre e dolori alle ossa. E poi un sintomo che hanno tanti che poi risultano positivi al coronavirus: la totale assenza di olfatto. È a quel punto che ho cominciato ad avere dubbi. Ho chiamato i vari numeri di emergenza, ma sinceramente mi sono serviti a poco». La svolta il 1 marzo, quando davanti al precipitare delle condizioni del compagno, Laura ha chiamato la guardia medica. «Stavamo male entrambi, ma lui decisamente peggio. La guardia all’inizio non voleva venire, alla fine un medico è arrivato - senza mascherina, cosa che mi ha lasciato senza parole - e ha detto che c’era una infezione ai polmoni. Ma non mi è bastato. Il giorno dopo ho chiamato l’ambulanza contro il volere del mio compagno e lui è stato subito ricoverato. Era il 2 marzo e l’indomani mi sono presentata anche io al Niguarda, ho detto di avere i sintomi, mi hanno fatto il tampone e sono risultata positiva». Inizia così l’inferno: una settimana nel reparto di malattie infettive. «Vedevo solo i medici per due volte al giorno. Si avvicinavano vestiti come marziani, terrorizzati anche loro di rimanere infettati. Ricordo queste giovani infermiere e dottoresse disperate, fisicamente distrutte, tutte sudate dentro quelle tute che non potevano togliersi neanche per andare in bagno, con doppi guanti che impedivano loro di trovarti con facilità le vene. Sette giorni da incubo. Anche perché la mia sofferenza era per lui, per il mio compagno. Sapevo che stava peggiorando, e ancora è lì che combatte in terapia intensiva». Martedì 10 il ritorno a casa. «Mi hanno dichiarato clinicamente guarita, ma non posso esserlo ufficialmente fino a quando non farò i tamponi. Sono blindata in casa, sospesa in attesa di notizie». La storia di Laura smentisce la vulgata che il coronavirus colpisca soprattutto anziani e persone già con patologie. «Io ho 44 anni, sono una salutista non esagerata, ma mangio bene, ballo il tango. Il mio compagno di anni ne ha 59, ma è sportivissimo, pieno di vita e di vigore. Ecco perché non mi capacito che ci sia ancora gente che non rispetta le prescrizioni. Non si è ancora capito bene che la portata del Covid-19. La gente rischia di morire a casa senza poter respirare, perché per salvarsi è necessario stare attaccati ai respiratori. E i farmaci che ti danno sono antivirali, uno che si usa per l’Hiv e uno per la malaria. Sono bombe che ti devastano l’intestino, ti provocano diarrea, nausea». Ecco dunque l’appello ai sardi in particolare. «State casa, abbiate pazienza per 15 giorni, venti, un mese. Non c’è altra possibilità per fare riprendere ossigeno alla sanità. A Bergamo le persone stanno morendo da sole in casa, non possono andare in ospedale a farsi curare. Ripeto, state in casa».


 

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