La Nuova Sardegna

Coronavirus in Sardegna: la campagna non si ferma, ma Pasqua sarà un disastro

di Alessandro Pirina
Coronavirus in Sardegna: la campagna non si ferma, ma Pasqua sarà un disastro

Mattia Moro, pastore 29enne di Mamoiada: «La mia vita lavorativa non è cambiata ma avremo anche noi ripercussioni economiche: vendite crollate e zero turisti»

04 aprile 2020
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SASSARI. Il coronavirus ha fermato le città, ma non le campagne. Gli ormai famosi Dpcm di Conte non sembrano avere sortito alcun effetto per i pastori, che, anche in un’epoca in cui la vita si è come cristallizzata, loro continuano a svolgere il solito lavoro quotidiano. Anche se con la consapevolezza che il mondo esterno è mutato per sempre. Il che avrà inevitabili ripercussioni economiche anche su di loro. Mattia Moro è un pastore di 29 anni, di Mamoiada, salito alla ribalta due mesi fa, quando scrisse una lettera ai ministri Bellanova e Franceschini per chiedere un sostegno al settore, non di tipo assistenzialistico ma «un cambiamento radicale». L’appello ai ministri è rimasto (per ora) lettera morta, ma lui porta avanti la sua filosofia anche in nel momento più difficile degli ultimi 75 anni per il Paese. «La mia vita lavorativa non è cambiata per niente – racconta –. La vita in campagna non si può mai fermare, questo poi è il periodo in cui si lavora di più. Certo, anche per noi è un momento difficile, pesante. Ma la pesantezza ce l’abbiamo in testa. Attraversare il paese con tutte le attività chiuse, non poter stare con gli amici, vedere i figli tristi perché vorrebbero giocare con gli amici o andare a scuola. Non è facile, anche se - ribadisco - chi fa il nostro mestiere è fortunatissimo. E lo sono anche i nostri figli: io le bambine me le porto dietro, in campagna, e sicuramente stanno meglio dei loro tanti coetanei chiusi negli appartamenti».

Ovviamente il Paese fermo ha un effetto devastante anche sul comparto, ancora di più in un periodo come quello di Pasqua che è da sempre uno dei più redditizi per il mondo agropastorale. «Dire che non è cambiato nulla dal punto di vista economico sarebbe una bugia – dice ancora Moro –. Io a Mamoiada ho un piccolo spaccio e in questo periodo iniziano ad arrivare i turisti. Ora sto lavorando, non mi lamento, ma ovviamente solo con i locali: al mattino apro al pubblico, la sera faccio le consegne per chi non se la sente di uscire di casa. Ma sono l’unico. E mi rendo conto che per tutte le altre attività è durissima. Siamo alla vigilia di Pasqua, è il periodo in cui si vendono formaggi, ricotta per i dolci e i ravioli. Rispetto agli altri anni sto vendendo meno, ma mi accontento, anche perché in paese nessun altro fa la vendita diretta. Per me è più facile superare economicamente questo momento». Più del latte, ad avviso di Moro, il vero colpo economico per i pastori sarà dato dalla vendita degli agnelli. «Finché il caseificio ritira il latte e paga non credo che neanche gli altri pastori avranno grandi problemi. Vedo più a rischio la vendita degli agnelli, il prezzo è crollato. La settimana scorsa era a 2,30 al chilo, di solito a Pasqua arriva anche a 4 euro».

Il dopo coronavirus deve essere ancora scritto. Per Moro potrebbe essere l’occasione per la riscoperta dell’importanza del lavoro della campagna, ma non è ottimista. «Questa situazione ci fa capire quanto siamo privilegiati, questo lavoro che ti incatena alla terra ti dà la possibilità di uscire, di respirare quell’aria che tanti altri non stanno respirando. La maggior parte dell’umanità ha avuto la vita stravolta, per noi i cambiamenti sono stati minimi. La mia paura più grande è che tutti - me compreso - ci scorderemo di queste riflessioni. La pecca dell’uomo è la memoria corta: basta un mese di ritorno alla vita quotidiana e tutto è dimenticato, ritorniamo a essere spericolati, a dedicare meno tempo ai figli, a fare meno gesti di solidarietà». Per il suo mestiere la chiave di volta è quel cambiamento radicale auspicato nella lettera ai ministri. «Io voglio essere positivo, ma bisogna smettere di pensare che questo lavoro bisogna farlo perché si ricevono indennità e contributi. Se uno pensa di entrare a fare parte del mondo agropastorale solo perché ha ereditato terreni e non ha trovato un altro lavoro non ha futuro. Il nostro è un mestiere che si fa con amore e passione. Non puoi improvvisarti. Io ho fatto una scelta, ho fatto sacrifici. E per me non esistono Pasqua, Natale o estate. Io lavoro tutti i giorni, ma mangio. Oggi non ho il problema di chiedere il bonus per la spesa e per me questa è una grande fortuna».

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