La Nuova Sardegna

Dalla paura del Covid-19 a quella per le botte in casa

di Antonello Palmas
Dalla paura del Covid-19 a quella per le botte in casa

Numerose le chiamate alla rete di assistenza psicologica durante il lockdown. La presidente Quaquero: molto disagio per l’isolamento e le morti senza funerali

02 giugno 2020
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SASSARI. «Quando è stato evidente l’aggravarsi della situazione a Lodi e Codogno e che i contagi si stavano estendendo, che sarebbe “scoppiato” abbiamo subito capito che sarebbe “scoppiato” un bisogno di sostegno e che dovevamo muoverci subito». Angela Quaquero, presidente dell’Ordine regionale degli psicologi, fa il punto dell’esperienza del filo diretto di assistenza psicologica creato per venire incontro alle esigenze di tanti «che hanno visto la loro vita stravolta dall’emergenza Covid»: 30 specialisti, delle quali 29 donne, che grazie a un accordo con le associazioni Psicologi per i popoli, Ipem Sardegna, Croce rossa italiana regionale e Mdr Italia, coordinate dalla Prociv, hanno risposto a centinaia e centinaia di chiamate dal 2 marzo sino a domenica scorsa, quando il servizio è stato interrotto. L’80% di chi cercava conforto erano donne «perché sono più portate ad ammettere di avere un problema».

«Da allora hanno cominciato a chiamarci da tutta Italia – racconta la Quaquero – essendo il nostro uno dei primissimi servizi a livello nazionale, specie dalla Lombardia, ma anche dal Veneto. Alla fine le chiamate da fuori dell’isola saranno il 20%». C’è stata un’evoluzione nell’utenza: «All’inizio – spiega la presidente degli psicologi – il tema era la paura del virus, dell’isolamento, con tante famiglie tagliate in due. Poi, ecco l’ondata breve ma terribile delle telefonate che raccontavano di persone care morte senza possibilità di un funerale. La morte senza rito è una delle cose più devastanti, lascia un vuoto tremendo. E la mancata elaborazione del lutto porta a depressione. Se ora ci sarà almeno con la possibilità di avere un’urna su cui piangere, una messa per ricordare, sarà una grande cosa. Abbiamo avuto casi come quello di una donna che mi ha raccontato: hanno portato via mio marito in pigiama e non l’ho più visto».

Poi la terza fase quella legata delle conseguenze del fatto che «i servizi di salute mentale con colloqui in presenza abbiano chiuso – dice la Quaquero – I malati gravi non si accontentano della telefonata, si scompensano. E hanno cominciato a chiamare noi, che però siamo nati come servizio di emergenza. Evidente che le patologie pregresse in questi mesi si sono accentuate molto». A parte quest’ultimo filone, più in generale la Quaquero chiarisce che a telefonare erano «persone senza particolari problemi, per le quali però il cambiamento avvenuto nelle famiglie dall’8 marzo in poi ha cambiato la vita». Per esempio, anche solo per le difficoltà di dividersi l’uso del pc tra ragazzi e genitori in smart working che creano tensioni; la mamma anziana divenuta irraggiungibile; la figlia bloccata fuori dall’isola. «Situazioni difficili da affrontare, specie per chi ha poche risorse umane e anche materiali. E se si abita in tanti in poche stanze.

«Nelle famiglie in lockdown ci sono stati due fenomeni opposti e la medietà è sparita – dice Quaquero – Da una parte: aumento delle violenze dove c’erano già situazioni difficili, e denunciare chi sta con te 24 ore su 24 è impossibile. D’altra parte però la convivenza forzata ha fatto anche emergere energie positive, dove c’erano già buone risorse affettive abbiamo assistito alla riscoperta dell’intimità familiare, dei tempi lenti: niente fretta, niente figli da accompagnare alle mille lezioni, si è scoperta la bellezza di giocare, si è cucinato...» E in questo impegno duro ma stuzzicante professionalmente, tra le 30 psicologhe impegnate da volontarie di tutta l’isola è nato un legame forte, una bella amicizia. «Se mai dovesse servire ancora il nostro apporto, la rete sarda ormai esiste già».

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