La Nuova Sardegna

Parisi pungola il Pd: «Stop ai caminetti, stiamo tra la gente»

Luca Rojch
Parisi pungola il Pd: «Stop ai caminetti, stiamo tra la gente»

Uno dei padri del partito: «Vedo l’assenza di confronto, va superata la logica delle correnti all’interno dei Dem»

19 giugno 2020
5 MINUTI DI LETTURA





SASSARI. Non nasconde la sua amarezza per lo stato di salute di un partito che ha contribuito a creare. Arturo Parisi è uno dei padri nobili del Pd, e dall'alto della sua matura visione politica esamina in modo crudo lo stato di salute dei Dem. Parte dal dibattito aperto dopo il focus della Nuova sul partito e dà la sua lettura.

Professore mi sembra amareggiato e un po' disilluso da quello che succede nel Pd. Come vede lo stato di salute del Pd nazionale e regionale?
«Sì. Sconsolato e disincantato. Ma non arreso. Guardi il Pd, il nazionale. Un partito in crisi profonda. Una crisi di identità. Non può dire da dove proviene, non sa dire dove stia andando. La stessa crisi di tutti gli altri "cosi" che sentiamo ogni giorno chiamare Partiti, Con una differenza. Anzi due. Il Pd è tra i "così" che contano l'unico che nelle sue insegne si definisce orgogliosamente Partito. Indifferente a quello che questo nome comporta. E tra le cosiddette forze politiche, anche se soltanto la meno piccola, il Pd è quella che più di tutte può vantare un impianto nazionale. Dimentico di quello che questo richiede».

Cosa si è perso rispetto al passato, ed esiste una strada per ritrovare l'identità?
«Ritrovare? Un problema. Anzi: il problema. L'unica identità disponibile per il vertice e per la gran parte del ceto dirigente del Partito è infatti, in ultima analisi, quella di un Pd come l'ultimo dei nomi di quello che un tempo si chiamò Pci. Ma, come dicevo, è una identità che non si può né sì vuol riconoscere. L'identità alternativa, quella per la quale mi sono speso invano, sarebbe quella di un Pd pensato come un partito nuovo, costruito, come dice il suo simbolo, nel solco dell'Ulivo. Più che da ritrovare questa è però una vocazione da riscoprire e una identità da reinventare. Quella di un Partito garante di un progetto riformatore di lunga durata da proporre a tutti gli italiani senza riguardo alcuno alle provenienze passate. Ma dopo la scelta di ritornare alla legge proporzionale questo è ora impossibile».

La chiave è l'identità?
«Privo di un'identità che viene dalla storia passata e di una che viene da un progetto per il futuro, il Pd si è ridotto a essere una semplice porzione del ceto dei professionisti politici, alla ricerca della sua porzione di deleghe. Cioè a dire, ridotto all'esterno ai soli momenti elettorali, e, all'interno, alla selezione delle legittime ambizioni personali a rappresentare in essi il partito. Solo che gli altri "cosi" lo fanno in privato, mentre il Pd, in onore al suo nome di Partito, riempie le cronache pubbliche».

Cosa pensa della scelta dei Pd di allearsi con i 5 Stelle.
«Porsi il problema dell'alleanza prima che inevitabile era doveroso. Ma il "come" l'alleanza è stata decisa, varata e si è svolta nel tempo grida ancora vendetta. Si potrebbe dire che ha fatto tutto Salvini. Senza di lui niente di questa legislatura sarebbe comprensibile. Senza il suo assenso non sarebbe nato il Conte1. Senza il suo impazzimento non sarebbe nato il Conte2. Senza il permanere della sua minaccia non sarebbe immaginabile che al governo attuale possa addirittura succedere un Conte3».

Si parla di un possibile ingresso del Pd nella maggioranza regionale al posto della Lega.
«Fortunatamente lo sento escluso da tutti. Ci voleva pure questo. Dopo il disastro di questi mesi e difronte allo tsunami che ci sta arrivando addosso, non solo il Pd, ma l'intero centrosinistra è chiamato più che mai a svolgere unito il ruolo di opposizione al quale lo ha chiamato il voto diretto dei sardi».

Come vede la situazione del Pd in Sardegna?
«Rispetto a quella nazionale quella del Pd sardo è una storia diversa, forse a suo modo unica. Ma non per questo migliore».

Come si potrebbe pensare a un futuro diverso per il Pd sardo? Cosa si dovrebbe fare?
«Non certo attraverso fughe in avanti coperte da slogan posticci. Riavvicinare le parole ai fatti, e i fatti alle parole. Se diciamo Partito sia quel Partito tra la gente, aperto alla società, che rispetta le regole che dice di essersi dato da solo. E non invece una delle tante comunità di professionisti che, da una parte, dice di affidare la scelta sul futuro ai suoi elettori, e dall'altra mette in scena una litania infinita di litigiose Tramatze alla ricerca dell'ennesimo compromesso unitario pensato per sottrarre agli elettori la scelta che dice di volergli affidare. E se diciamo Partito Nuovo, ma non ci sentiamo di parlare a nome di un progetto ci si rifaccia pure alla storia passata senza paura di apparire nostalgici. È meglio rivendicare e onorare una propria identità che cercare di apparire diversi».

Il correntismo è il male incurabile del Pd? e secondo lei è realisticamente superabile? Non trova che la fusione perfetta non ci sia mai stata e oggi il Partito sia un contenitore di anime che non dialogano?
«Se il correntismo appare il male incurabile a mio parere è per l'assenza di un confronto trasparente tra scelte politiche. E aggiungo: scelte che riguardino il futuro della comunità generale prima delle graduatorie interne al partito. Chi rilegge le cronache delle riunioni di Tramatza da cittadino fatica a trovare il punto di contatto con la propria esistenza. È qua il perché quello che doveva essere un incontro tra anime è restato uno scontro tra corpi».

C'è una figura in grado di portare il Pd sardo fuori da questa fase di stallo? In tutte le ultime tornate elettorali il partito ha puntato su figure esterne, è un segno di debolezza?
«Io mi sono speso perché a chi sente di avere una proposta per la soluzione dei problemi comuni sia consentito di alzare liberamente la mano. La sua. Senza chiedere prima il permesso a qualcuno. Senza atteggiarsi a "fenomeno". Ma anche senza il bisogno di dire "alcuni amici mi hanno chiesto". So peraltro che altri continuano a preferire i caminetti riservati dove quelli che possono decidono il candidato scegliere per tutti. È una questione di idee della vita e della politica. Basta capirsi. Nonostante a livello delle amministrazioni locali e regionale così come negli organi nazionali ci siano persone di sicura qualità non vedo tuttavia in giro mani levate. Di certo non per la guida della Regione, che non è oggi in discussione, ma neppure ancora per la guida del partito che è un ruolo da quello distinto».

In Primo Piano
Tribunale

Sassari, morti di covid a Casa Serena: due rinvii a giudizio

di Nadia Cossu
Le nostre iniziative