La Nuova Sardegna

Il Covid come un ciclone, la Sardegna di nuovo in ginocchio

di Umberto Aime
Il Covid come un ciclone, la Sardegna di nuovo in ginocchio

Rapporto Crenos. La pandemia è scoppiata quando l’economia mostrava i primi segnali di ripresa. Le stime: calo del Pil tra 10 e 12%. La ricetta: servono subito enormi investimenti

20 giugno 2020
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CAGLIARI. La pandemia è stata una sciagura economica. La mazzata è arrivata, all’improvviso, gettando di nuovo nella disperazione chi si era appena risollevato dalla grande crisi del 2008. Dodici anni di risalita, lenta e faticosa, spazzati via in soli tre mesi, quelli marchiati a fuoco dal coronavirus. «È come se un ciclone si fosse abbattuto su un villaggio in ricostruzione», scrive il Crenos nel 27esimo rapporto sullo stato dell’economia. Di solito gli analisti delle due università, Cagliari e Sassari, mettono a confronto gli ultimi anni. Lo shock Covid, invece, li ha obbligati a interpretare quanto potrebbe accadere in un futuro molto prossimo.

Come saremo. Stando a una prima stima, alla fine del 2020, la ricchezza della Sardegna potrebbe finire in picchiata. Fra effetti negativi, durante e all’indomani della lunga quarantena, produzione stagnante e consumi azzerati, il Prodotto interno lordo dovrebbe scivolare da 34,5 miliardi a 30,9, nell’ipotesi migliore, con un calo superiore ai 10 punti in percentuale. Ma se lo scenario fosse ancora più fosco – ed è possibile che lo sia – la perdita secca sarebbe di 4 miliardi e il Pil si attesterebbe appena sopra la soglia dei 30 miliardi. Peggio di un terremoto. Anche se Emanuela Marrocu, direttrice di Crenos, avverte: «Queste previsioni vanno lette con cautela. L’incertezza continua a essere alta. Quanto durerà la pandemia? Ci saranno altre ondate in autunno? Oppure quale impatto avranno gli interventi anticrisi annunciati dall’Europa, dal Governo e dalla Regione su famiglie e imprese: immediati o ritardati? Non lo sappiamo. Oggi possiamo solo ipotizzare, o meglio sperare, che fra un anno avremo metabolizzato, almeno in parte, questo stato di profondo malessere». Per accelerare l’auspicata risurrezione, secondo Raffaele Paci, fra i fondatori di Crenos ed ex assessore alla programmazione nella giunta Pigliaru, l’importante è che «la Sardegna non cada in depressione, ma reagisca». Come? «Prima di tutto, dobbiamo rendere attrattivo un fatto incontestabile: siamo stati solo sfiorati dalla pandemia. Poi serviranno enormi, immediati, investimenti per far crescere il capitale umano e la tecnologia. Soprattutto sarà indispensabile poter contare su una grande, ripeto grande, qualità istituzionale». Sarebbe quindi un delitto non provare a scrollarsi di dosso l’ultima pesante crisi.

Com’eravamo. Quando è arrivato il ciclone coronavirus, i sardi erano impegnati a risalire la classifica europea delle regioni, dove oggi sono relegati al 177esimo posto su 241 e dopo essere stati retrocessi dalla categoria «territorio in transizione» a quella di «ritardo nello sviluppo». I segnali di risveglio erano questi: l’aumento di 2,4 punti del Prodotto interno lordo, con una crescita più veloce rispetto alla media del Mezzogiorno. Poi un reddito pro capite più consistente, intorno ai 21mila euro, superiore a quello del Sud, anche se sempre molto lontano dai valori del Nord e dell’Europa, con uno scarto di oltre 10mila euro. Ancora: l’aumento percettibile del tasso di occupazione, 8mila assunzioni in più, soprattutto fra le donne e grazie ai contratti a tempo determinato. Di conseguenza, anche un discreto calo della disoccupazione, nonostante la sacca di quella giovanile, intorno al 45 per cento. Altri indicatori positivi erano anche l’impennata dei consumi, più 2,3 per cento su base annua, e il picco degli investimenti, 2,4. E lo scatto in avanti del valore aggiunto prodotto dalle imprese, nonostante il forte calo dell’edilizia, la storica frammentazione del tessuto imprenditoriale e una contrazione dell’export. Poi a marzo, purtroppo, è esploso il coronavirus, che ha ricacciato indietro la Sardegna.

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