La Nuova Sardegna

Intervista con Biancareddu: «Senza fondi e personale la scuola non può riaprire»

di Silvia Sanna
Intervista con Biancareddu: «Senza fondi e personale la scuola non può riaprire»

L’assessore regionale all’Istruzione va in pressing sul Governo: «Subito le linee guida per capire quanti spazi in più dobbiamo recuperare»

20 giugno 2020
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SASSARI. Bisogna essere inguaribili ottimisti per credere che il 14 settembre i quasi 200mila studenti sardi saranno al loro posto, perfettamente distanziati nelle aule e all’interno di scuole super sicure. Già, perché le scuole sarde – almeno una buona parte – non rispondono agli standard minimi di sicurezza, figuriamoci alle rigide regole post Covid. L’assessore Andrea Biancareddu all’ottimismo preferisce un sano realismo. Per questo butta l’occhio sul calendario e suona la sveglia al governo: «Il tempo è già scaduto, servono subito le linee guida per capire quali e quanti spazi scolastici in Sardegna potremo utilizzare, quanti ne dovremo abbandonare e quanti nuovi sarà necessario ricavarne per garantire spazi adeguati. Abbiamo inviato l’anagrafe degli istituti al viceministro Ascani, aspettiamo risposte». Ma le linee guida, pur fondamentali, da sole non bastano: «Rappresentano lo scheletro all’interno del quale lavorare, poi perché l’anno scolastico riparta per tutti e in sicurezza servono risorse, tante, e personale: dagli insegnanti agli amministrativi ai collaboratori scolastici. Il mondo è cambiato, anche per la scuola ci sarà una rivoluzione. Noi come Regione siamo pronti a fare la nostra parte, ma il governo deve essere presente in maniera forte. Se non sarà così sono pronto ad andare allo scontro».

Assessore, il 14 settembre la campanella suonerà anche nell’isola?

«Io me lo auguro di cuore. Gli studenti devono andare a scuola, non fare lezioni da casa con la didattica a distanza che deve essere utilizzata solo nelle situazioni di emergenza. Ma perché il 14 settembre si torni alla normalità dipenderà da almeno tre fattori: le regole, il tempo e il denaro».

Iniziamo dalle regole, quali la preoccupano di più?

«La sicurezza – è chiaro a tutti – deve essere garantita al massimo e ci impegneremo perché sia così. Ma se le linee guida dovessero essere particolarmente rigide è chiaro che molte scuole in Sardegna rischierebbero di essere inutilizzabili perché quando sono state costruite, circa 60 anni fa, il Covid era qualcosa di immaginabile forse soltanto nei film di fantascienza».

Faccia qualche esempio.

«A parte le aule, che sulla base dello spazio minimo per ciascun alunno dovranno essere più o meno grandi, penso per esempio ai servizi igienici: nei lavandini ci sono i rubinetti, se le linee guida dovessero imporre il pedale da schiacciare con il piede per limitare contatti e possibili contagi, potremmo essere obbligati a rifare tutti i bagni. E chiaramente non faremmo in tempo per il 14 settembre».

E qui entra in gioco proprio il fattore tempo.

«Certo, perché sulla base delle regole di ingaggio dobbiamo modificare gli spazi a disposizione, dare il via a ristrutturazioni, recuperare strutture inutilizzate che possano accogliere un certo numero di studenti».

Si riferisce alle scuole chiuse nei piccoli Comuni?

«Si, quella è una possibile soluzione. Ma non tutte le situazioni sono uguali: ci sono edifici utilizzati sino a pochi anni fa e ancora in buone condizioni e altri che invece richiederebbero un intervento più massiccio in termini di tempo e di denaro. Pensiamo solo all’iter burocratico necessario per la progettazione e il successivo via libera....»

Ma lei è favorevole all’idea di riaprire le scuole inutilizzate nei centri dell’interno?

«Assolutamente si, sarebbe un segnale importante per i territori che si sentono abbandonati e per la famiglie. Negli anni scorsi sono state chiuse diverse scuole, in applicazione dei parametri ministeriali. Io personalmente non l’avrei fatto, mi sarei opposto, mi sarei fatto calpestare piuttosto che cancellare presìdi di civiltà e di formazione. Ma è successo purtroppo. Ora almeno in alcuni casi potremmo rimediare. Ma qui entra in gioco il teRzo fattore».

Si riferisce alle risorse finanziarie?

«Senza denaro non si va da nessuna parte. Per riaprire e ristrutturare le scuole servono finanziamenti importanti e per farle funzionare serve il personale. Per questo mi appello allo Stato e alla ministra Azzolina: il governo sta indebitando il Paese per i prossimi 200 anni, faccia uno sforzo per garantire a tutti il diritto all’istruzione. In queste settimane sono state stanziate risorse per tutto, anche per la mobilità sostenibile con biciclette e monopattini. Ben vengano per carità. Ma l’istruzione merita un posto di primo piano nell’agenda del governo. E gli stanziamenti devono essere proporzionali all’importanza. Noi avevamo già fatto uno studio sui fondi necessari per mettere in sicurezza le scuole in Sardegna, sono cifre altissime ed è chiaro che da soli non possiamo farcela».

Qual è l’importo necessario?

«Solo per ristrutturare gli edifici esistenti e utilizzati servirebbero 114 milioni di euro. Ma il calcolo è stato fatto in epoca pre Covid, con le nuove regole di sicurezza gli importi sono destinati a lievitare moltissimo. E poi c’è il capitolo del personale...»

Quanti insegnanti in più servirebbero?

«Ancora non sono in grado di dirlo perché anche questo aspetto è legato a doppio filo alle linee guida. Se gli spazi a disposizione saranno insufficienti saremo obbligati a istituire i doppi turni, dividendo i ragazzi della stessa classe e facendo le lezioni in maniera alternata la mattina e la sera. Nelle realtà dove questo sarà necessario, bisognerà potenziare l’intero sistema: più insegnanti innanzitutto, più personale amministrativo, più educatori, più collaboratori scolastici a vigilare sulle norme di sicurezza e di igiene. Tradotto: serviranno molte risorse in più per rimpolpare gli organici».

Meglio i doppi turni della didattica a distanza?

«Si, a patto che ci siano le risorse umane e finanziarie per tenere le scuole aperte mattina e sera. La didattica a distanza in questi mesi ha mostrato tutti i suoi limiti soprattutto in una Regione come la nostra dove esiste il problema del digital divide con accesso a internet limitato. La dad impoverisce la formazione e fa arretrare i rapporti interpersonali, importanti per i ragazzi quanto la didattica. E crea problemi anche alle famiglie: non tutto sono in grado di dotarsi dei necessari supporti tecnologici, come pc e Ipad. Si rischia di creare un divario nella formazione e di ledere il diritto all’uguaglianza nell’accesso all’istruzione».

Tra tanti dubbi da chiarire c’è qualche certezza?

«Per me l’unica certezza è che nessuna scuola chiuderà. L’ho già detto prima della pandemia e lo ribadisco oggi: nessuno si azzardi a parlare di numeri e parametri da rispettare, il piano di dimensionamento scolastico deve essere calato sulla nostra realtà che vede una densità demografica bassissima, appena 67 abitanti per chilometro quadrato. Chiudere punti scolastici significa costringere gli alunni a lunghe trasferte sugli autobus, alla faccia della sicurezza, e obbligare insegnanti e dirigenti a scapicollarsi da un istituto all’altro. No grazie, non è questa la scuola che vogliamo, tanto meno adesso. Lo dobbiamo ai nostri ragazzi, che in questi mesi hanno sofferto tanto e nonostante questo hanno continuato a studiare e impegnarsi tra le difficoltà. Anzi, a questo proposito vorrei aggiungere una cosa....»

Prego.

«Ho letto sul giornale il titolo “maturità light”: secondo me l’esame dovrebbe essere ancora più “leggero” considerato come ci si è arrivati. I professori dovrebbero tenerne conto».

Intende dire che i ragazzi dovrebbero essere tutti promossi?

«No, ma il rendimento nell’ora di colloquio non dovrebbe avere molto valore. Mi auguro che i docenti si basino nel giudizio sul percorso scolastico pre lockdown e isolamento domiciliare. Un periodo che ha stravolto la vita di tutti e soprattutto dei nostri figli».

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