La Nuova Sardegna

Il bambino segregato: otto anni a genitori e zia

di Tiziana Simula
Il bambino segregato: otto anni a genitori e zia

La “regista” dei maltrattamenti: «Ho capito di aver fatto cose terribili»

23 giugno 2020
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ARZACHENA. La lettura della sentenza è arrivata alle due del pomeriggio: otto anni di reclusione – 12 anni meno un terzo della pena per via del rito abbreviato – per tutti e tre gli imputati, nessun riconoscimento delle attenuanti generiche. E revoca della potestà genitoriale. Ovvero i genitori hanno perso il loro figlio per sempre.

La voce del gip Marco Contu è risuonata nell’aula al primo piano del palazzo di giustizia gallurese, nel silenzio assoluto degli imputati – padre, madre e zia, tutti e tre agli arresti domiciliari –, rei confessi di atrocità psicologiche e fisiche inflitte a un bambino di 11 anni, maltrattato e tenuto segregato per punizione nella sua cameretta, nella casa degli orrori di Arzachena. Una condanna inferiore di qualche anno rispetto a quanto richiesto dall’accusa – pm Luciano Tarditi e Laura Bassani – che avevano sollecitato 15 anni di reclusione, ridotti a dieci per effetto della scelta del rito. Il gip ha anche riconosciuto una provvisionale di 100mila euro per il piccolo, costituito parte civile con l’avvocato Giorgina Asara, nominata dal sindaco di Arzachena Roberto Ragnedda a cui è stata affidata la tutela provvisoria del bambino, che dal giorno dell’arresto dei suoi genitori, il 29 giugno di un anno fa, si trova in comunità.

Una storia terribile, senza precedenti. Che ha sconvolto la Gallura. Vittima un bambino che all’ennesima prigionia chiede aiuto ai carabinieri con un cellulare senza sim. E quella sarà la sua salvezza.

La sentenza di primo grado per maltrattamenti e sequestro di persona è arrivata al termine di due ore di arringa «intensa e appassionata», come l’ha definita lo stesso pm Tarditi nelle repliche, dell’avvocato Angelo Merlini, difensore della zia, ritenuta dagli inquirenti la regista dei maltrattamenti e delle violenze fisiche e psicologiche inflitte al bambino dai genitori, in particolare dalla madre. Dalle indagini era emerso come fosse lei a indicare a sua cognata come comportarsi col figlio e a istigarla a mettere in atto le più umilianti e terribili punizioni per “correggere” il comportamento del bambino. Il difensore ha depositato una perizia psichiatrica che evidenziava un disturbo della personalità, non per sollecitare una riduzione della pena, ha spiegato il difensore, ma per avere una risposta alle condotte vessatorie della donna che esercitava un controllo ossessivo nei confronti del ragazzino con intenti, a suo dire, educativi.

«Pensavo fosse giusto per il bambino quello che stavo facendo. Ora, in questi mesi di arresti domiciliari, ho capito che ho fatto cose terribili...», aveva detto al gip rendendo spontanee dichiarazioni all’apertura del processo, ammettendo tutte le sue responsabilità, così come avevano fatto fin da subito anche i suoi genitori. Ieri, l’avvocato Merlini ha letto in aula (e depositato) una lettera scritta dalla sua assistita, nella quale ha spiegato al giudice il tormento e l’angoscia vissuti ogni giorno da quando ha preso coscienza del male fatto e «tutte le volte che pensa a quel bambino che si è perso nel mondo».

Nelle loro arringhe i difensori dei tre imputati – i genitori sono difesi dagli avvocati Marzio Altana (padre) e Alberto Sechi (madre) – hanno sollecitato una pena equa, che tenesse conto delle confessioni fatte e della funzione rieducativa della pena. Al termine della camera di consiglio, la sentenza. Che ha accolto, in sostanza, l’impianto accusatorio.

«Mi auguro soltanto che il minore possa trovare la tranquillità che merita e possa avere la forza per una serena crescita psico-fisica», commenta il sindaco Roberto Ragnedda.

Recentemente hanno avanzato richiesta di affidamento i nonni materni.

Nessun commento invece da parte del difensore del padre del bambino che attende di leggere le motivazioni. Per l’avvocato Sechi, «la pena è equa. Ci rammarichiamo, però, della mancata concessione delle attenuanti generiche», dice. «Il nostro obiettivo era ottenere una pena equa – aggiunge l’avvocato Merlini – e già il fatto di aver ottenuto una riduzione di tre anni rispetto alla richiesta del pubblico ministero, è un buon punto di partenza per poter presentare appello per il riconoscimento delle attenuanti generiche».

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