La Nuova Sardegna

Addio al generale Murgia, mise in scacco l’Anonima

di Giacomo Mameli
Addio al generale Murgia, mise in scacco l’Anonima

Protagonista di anni tormentati in un’isola scossa dai sequestri di persona

07 settembre 2020
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URZULEI. Giovedì mattina, dall'ospedale Santissima Trinità di Cagliari, l'ultima telefonata a una decina di amici: «Sono ricoverato, ci rivedremo la settimana prossima». Un filo di voce, per annunciare un addio che lui, però, non immaginava così immediato. Voleva rivederci «a Urzulei a parlare di libri, ma prima facciamo una scampagnata con i miei colleghi Vittorio De Martis, Luciano Gavelli e Santino Carta verso Su Nercone e il Supramonte», una delle zone che hanno segnato la carriera esaltante di Gilberto Murgia, morto a 76 anni, generale dei carabinieri, comandante della Legione Sardegna, dopo aver diretto operazioni tra le più importanti nel resto d'Italia.

La carriera. Ha la sua firma la cattura del boss della 'ndrangheta Giuseppe Piromalli. Erano gli anni fra il 1979 e il 1984, l'investigatore sardo - dopo i successi contro l'Anonima Sequestri - guidava i carabinieri di Gioia Tauro. «Gli avevo serrato le manette ai polsi dicendogli buongiorno, era accusato di 34 omicidi e undici sequestri di persona». Era stato l'allora giovane capitano Murgia a far liberare l'industriale Nicodemo De Pino dopo un conflitto a fuoco e ad aver sparato (“volutamente a una gamba”) al carceriere Filippo Gerace, capo di una sanguinaria cosca calabrese, armato come tutti gli affiliati agli squadroni della morte che devastavano la Calabria. Un ufficiale di quelli che hanno fatto amare l'arma dei carabinieri, ammiratore del generale Carlo Alberto Della Chiesa. Una volta, per il soggiorno in Aspromonte, quando un giornalista milanese lo aveva definito “un vero servitore dello Stato”, aveva confidato: «Servitore dello Stato e dei cittadini, in particolare dei più umili». Residente a Cagliari, rientrava spesso al suo paese («perché ci sto bene, in semplicità»), amava la casa del rione Muristene vicino a quella della sorella Maria, «passo ore e ore a leggere libri, in silenzio», lunghe passeggiate con i suoi coetanei, gli ex presidi Giorgio Cabras e Giorgio Fancello. Il sindaco Ennio Arba fisserà una riunione del Consiglio comunale per ricordarlo «come merita un cittadino che ha onorato Urzulei».

Una vita nell’Arma. Gilberto Murgia era nato a Urzulei nel rione Seletutte. Il padre Luigi maresciallo di sanità all'ospedale militare di Cagliari, la madre Andreana Serra. Elementari al Riva di Cagliari, laurea in Lettere, 110 e lode a La Sapienza, tesi con Antonello Biagini. Si arruola nel '68, lavora a Cagliari e Oristano, nel 1973 passa alla tenenza di Jerzu, segue i sequestri Giuseppe Maccioni a Nuoro, Giuseppe Maricosu a Oliena, Matteo Lostia a Orotelli. Successivamente opera a Isili e in Barbagia. E poi l'inferno calabrese. Gilberto Murgia pensava di scrivere un libro sul periodo caldo dei rapimenti in Sardegna («mi farò aiutare da amici giornalisti»). Avremmo avuto uno spaccato reale della criminalità nell'isola negli anni più tormentati anche perché - aveva detto - «avrei potuto raccontare indagini condotte con uno degli 007 più autentici, l'ex capo della Criminalpol sarda Emilio Pazzi».

Anni di fuoco. Per i giornali di mezzo mondo, in quel periodo Sardegna era sinonimo di kidnapping (rapimento ndr), soprattutto dopo il fattaccio della famiglia inglese Schild (Ralph, la moglie Dafne e la figlia Annabel, disabile, 15 anni), prigionieri in pieno centro a Sarule. In Toscana, a Piazza del Capo a Siena, comparivano le scritte “Rispediteli nel Sardistan”. Nel 1979 i rapimenti erano stati 24, epicentro sempre la Barbagia. Gilberto Murgia segue alcuni dei crimini più clamorosi con risvolti da autentiche tragedie umane: il caso Schild, Pasqualba Rosas, Fabrizio De Andrè-Dori Ghezzi, Giancarlo Bussi, Efisio Carta. E poi i conflitti a fuoco nello scacchiere Orune-Benetutti-Oniferi, fra tutti quello del 1978 a Sa Serra-Intremontes di Nuoro col bandito Antonio Crivelli (per questo episodio Murgia otterrà la medaglia d'argento al valor militare). In quel periodo il colonnello Giuseppe Favarolo catturava due «vecchie volpi» della latitanza: Giovanni Talanas di Orune e Pasquale Stochino di Arzana. E Murgia aveva detto: «Era stato un periodo davvero tormentato, banditi sardi protagonisti di crimini indicibili in diverse regioni d'Italia, sui giornali dettava legge più la cronaca nera che l'indagine sociale. Però nelle forze dell'ordine – aveva aggiunto – si era formato un bagaglio di alte conoscenze, erano cresciute le competenze professionali degli investigatori. Ci aiutava la tecnologia ma anche una Sardegna vicina alle forze dell'ordine».

Il clima mutato. In un'intervista del 2007 pubblicata sulla Nuova Sardegna il comandante Murgia aveva detto: «Il clima è mutato. È come se ci fossimo liberati della spada di Damocle. Paesi che vivevano di delitti e faide oggi si sono consolidati nella pacificazione, penso a Mamoiada – esempio esaltante – e anche a Sarule. Quando ero comandante a Nuoro, Orgosolo aveva otto banditi alla macchia. Oggi non ne ha uno. È un successo civile del paese, della nuova Barbagia. Il dramma oggi è la fragilità sociale, non la criminalità».

Gilberto Murgia rispettava molto la magistratura. «Ho sempre apprezzato il lavoro del capo dell'antimafia Mauro Mura, soprattutto quando altri intorbidavano le acque delle indagini serie. E ricordo Ettore Angioni. A me ricordavano il Procuratore capo di Nuoro Francesco Marcello, magistrato di zero parole e molti fatti, mai avrebbe partecipato a un talk show».

Pochi giorni fa, in Piazza Costituzione a Cagliari, in occasione della presentazione di un libro, aveva scambiato qualche battuta sulla nuova latitanza di Graziano Mesina: «È soltanto un cognome che ha fatto molto male alla Sardegna. Orgosolo dovrebbe essere citata per i suoi studentes, non per i falsi balentes».

I funerali sono stati celebrati ieri mattina nella Chiesa del Crocifisso, la salma sarà cremata e l’urna sarà portata a Urzulei dove il 10 ottobre ci sarà la messa per il trigesimo.

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