La Nuova Sardegna

Export, numeri a due facce bene l’agroalimentare

Export, numeri a due facce bene l’agroalimentare

Crolla il mercato del petrolio ma il resto dell’economia isolana si salva Cna: i nostri prodotti visti come più sicuri per la buona gestione della pandemia

10 ottobre 2020
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SASSARI. Il Covid fa crollare l’export. O forse lo fa lievemente aumentare. Il dato sull’andamento delle esportazioni è a due facce. Nel secondo trimestre 2020 la Sardegna ha registrato un calo di circa un miliardo di euro rispetto allo stesso periodo del 2019. Il valore dei beni esportati tra aprile e giugno è stato infatti di appena 536 milioni di euro contro i 1.600 del 2019. Il crollo è pari al 66,5 per cento, dato che non ha eguali tra le regioni italiane e quasi triplica il dato medio nazionale, pari al meno 27,9. Ma a fare precipitare l’export isolano è un solo mercato, quello dei combustibili fossili. Tanto che la Saras ha deciso di mettere 1745 dipendenti in cassa integrazione.

Ma esclusa questa voce, infatti, tra aprile e giugno le esportazioni sarde sono addirittura aumentate (più 2,5 per cento) rispetto al secondo trimestre 2019 (sei milioni di euro in più): senza il settore petrolifero, che rappresenta l’80 per cento dell’export isolano, la Sardegna diventa l’unica regione (oltre al Molise) che ha visto aumentare le esportazioni in questo primo scorcio del 2020 targato Covid. È quanto emerge dall’ultimo report del Centro studi della Cna Sardegna sull’export regionale.

«Al netto dei prodotti petroliferi raffinati le esportazioni sarde hanno mostrato, nel mezzo della crisi sanitaria, una sorprendente resilienza – commentano Pierpaolo Piras e Francesco Porcu, rispettivamente presidente e segretario regionale della Cna Sardegna –. Bene soprattutto il comparto della lavorazione dei metalli, in grado di crescere significativamente e guadagnare importanti quote di mercato durante tutto il lockdown. Guardando ai prossimi mesi, se la situazione sanitaria non dovesse precipitare, la congiuntura internazionale potrebbe riservare interessanti opportunità per l’export della Sardegna».

Se infatti nella prima fase della crisi la forza con cui la pandemia aveva colpito l’Italia aveva messo a rischio le quote di mercato estero di molti prodotti agroalimentari, la situazione adesso si è ribaltata. «L’Italia, e con essa la Sardegna, è vista oggi come un paese virtuoso grazie a una gestione della crisi globalmente considerata efficace e tempestiva – evidenziano Piras e Porcu –. I nostri prodotti sono visti come più sicuri e le esportazioni nel settore agrifood possono trarne beneficio. In quest’ottica risulta fondamentale riuscire a cogliere le opportunità offerte da questa fase rafforzando l’immagine positiva dell’isola e dei suoi prodotti, con l’obiettivo di acquisire e aumentare quote di mercato estero nel settore dell’agrifood. Per farlo serve una strategia regionale di medio termine coordinata e concordata su più livelli. È un’occasione da cogliere, non solo per rilanciare le vendite del prodotto made in Sardegna per antonomasia, il pecorino, ma anche per migliorare il presidio in nicchie di mercato che, per le caratteristiche dell’industria sarda, sono potenzialmente strategiche, come quella delle bevande (vino in primo luogo ma anche birra e bevande non alcoliche), dei prodotti da forno e del settore oleario». Nel 2019 le esportazioni di prodotti made in Sardegna sono arrivate a valere 5,6 miliardi, il 18% del valore aggiunto regionale.

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