La Nuova Sardegna

Didattica a distanza la Regione sotto accusa

di Silvia Sanna
Didattica a distanza la Regione sotto accusa

La denuncia dei presidi: il problema sono i trasporti, non le scuole Maullu: «In questi mesi solo promesse, a rimetterci sono sempre i ragazzi»

25 ottobre 2020
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SASSARI. La paura è che i 15 giorni annunciati diventino 30 e poi 50 e che a un certo momento la didattica a distanza perda la data di scadenza. «Non mi stupirei, perché dall’inizio dell’emergenza sanitaria la scuola, il diritto allo studio dei nostri ragazzi, è stata messa all’ultimo posto. Qualcuno dovrebbe spiegare perché». In attesa dell’ordinanza del governatore Solinas e alla luce delle anticipazioni sul prossimo dpcm, il destino degli studenti delle Superiori e degli Universitari sembra segnato: si va a casa, perché i dati dicono che la diffusione del contagio è più forte nella fascia d’età compresa tra i 15-25 anni, e dunque sono i giovani a portare il virus a casa, in famiglia. Già, ma perché? «Lo sanno tutti bene perché – dice Anna Maria Maullu, presidente regionale dell’Anp (Associazione nazionale presidi) e dirigente dell’Istituto Pertini di Cagliari – sanno che non sono le scuole i luoghi del contagio, al contrario negli ambienti scolastici le regole sono rigide e seguite alla perfezione. Si fa finta di non vedere il problema perché in questi mesi chi avrebbe dovuto risolverlo non ha fatto niente: i ragazzi si contagiano sugli autobus sui quali sono costretti a viaggiare assiepati, senza distanze, senza regole. Il Covid non è a scuola ma viaggia sui mezzi pubblici che sono insufficienti per garantire condizioni di sicurezza. Questo lo sappiamo da mesi, sappiamo che servirebbe almeno il doppio degli autobus. E invece non è stato fatto niente». La Maullu racconta la sensazione di frustrazione per mesi di lavoro buttati al vento: «Ci siamo riuniti varie volte al tavolo regionale della scuola e il tema dei trasporti è stato sempre protagonista. Abbiamo sollecitato un intervento di potenziamento prima della riapertura della scuola, anche Francesco Feliziani, direttore dell’ufficio scolastico regionale, ha posto il problema con molta forza. Abbiamo ricevuto garanzie e siamo andati avanti per preparare la scuola nel migliore dei modi. Il lavoro è stato eccezionale, c’è stato uno sforzo enorme da parte di tutti: gli studenti, dai più piccoli ai più grandi, sono rientrati dopo il lungo lockdown in spazi sicuri. Il mondo della scuola ha saputo rispondere all’emergenza, chi invece doveva occuparsi di trasporti e di sanità che cosa ha fatto in questi mesi? »

Dad ma non per tutti. Ancora non è chiaro quanti saranno gli studenti che seguiranno le lezioni a distanza né da quando: dipenderà dalle decisioni che saranno assunte a livello regionale e nazionale. Ma di certo si sa che una parte degli studenti sarà tagliato fuori perché privo degli strumenti per accedere alla Dad. Quasi il 25 per cento delle famiglie sarde non ha una connessione internet, circa il 40% ha una connessione che non raggiunge neanche la velocità di 30 Mbps, il limite minimo per partecipare senza troppi inconvenienti a delle videolezioni. Ancora una volta, come durante il lockdown, i ragazzi che vivono in zone meno digitali di altre saranno privati del diritto allo studio. «Anche questo problema è stato fatto presente alla Regione – dice Anna Maria Maullu – e proprio perché siamo consapevoli del fatto che non è risolvibile in pochi mesi, bisogna lavorare per non trovarsi in questa condizione. Organizzando un sistema di trasporti efficace la didattica a distanza si sarebbe evitata».

I protagonisti. La sola certezza è che la dad riguarderà solo le Superiori. Per due motivi: a parte la percentuale di diffusione del contagio in quella specifica fascia d’età, c’è anche il fatto che i ragazzi più grandi possono rimanere a casa da soli senza condizionare eccessivamente la vita dei genitori. Se la dad coinvolgesse anche gli scolari più piccoli, è chiaro che la situazione inciderebbe in maniera pesante nell’organizzazione familiare: almeno un genitore dovrebbe rinunciare a lavorare per stare con i figli, in un lockdown personale non imposto ma obbligatorio.

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