La Nuova Sardegna

«I giovani che arrivano non hanno formazione ma ci serve il loro aiuto»

di Claudio Zoccheddu
«I giovani che arrivano non hanno formazione ma ci serve il loro aiuto»

Casula, responsabile del Simeu: «Travolti dall’emergenza Servono protocolli di sicurezza e percorsi puliti»

24 novembre 2020
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SASSARI. Sono la fanteria della lotta al virus. In “battaglia” occupano la prima linea, la più rischiosa. E come la fanteria, quando hanno tempo, contano il numero dei caduti, aggiornano quello dei contagiati e si alternano i turni di lavoro massacranti. I medici di emergenza-urgenza sono gli specialisti dell’imprevisto ma, nonostante il rassicurante sottotitolo degno di un fumetto, sono in grande difficoltà. Da tempo. Corrado Casula è il presidente regionale della Società italiana di medicine di emergenza-urgenza (Simeu) e anche un medico soccorritore del 118: «Purtroppo i pronto soccorso degli ospedali sardi sono stati travolti dall’emergenza. Quando sono congestionati non riescono nemmeno ad assolvere il proprio compito, con enormi problemi di sicurezza per il personale degli ospedali, come i rianimatori che devono uscire per assistere chi ha bisogno, e per i pazienti sulle ambulanze in sosta che diventano il primo filto, il vero pronto soccorso. È successo ad Oristano, e anche a Nuoro». Il blocco dei mezzi genera anche altri problemi: «Sono unità sottratte all’urgenza – continua Casula – che spesso devono fare tanti chilometri per accompagnare o spostare pazienti». Se l’epilogo è complicato, la genesi è quasi fuori controllo: «Tutti gli ospedali hanno un piano d’emergenza, che dovrebbe prevedere soluzioni alternative per ogni problema. Se ne sono visti pochi e nei pronto soccorso, che sono la porta d’ingresso degli ospedali, c’è spesso tanta confusione. Mancano i riferimenti precisi e mancano anche i nuovi modelli organizzativi che sarebbero stati necessari. È inutile chiudere un pronto soccorso per 12 giorni per poi riaprirlo seguendo gli stessi schemi, è chiaro che il giorno dopo verrà chiuso nuovamente. Si dovrebbe ragionare su ingressi alternativi, percorsi controllati e zone sicure. E i pronto soccorso non sono fatti per ospitare le degenze, soprattutto se lunghe».

Oltre alle strutture, in evidente affanno, anche la componente umana avrebbe bisogno di una boccata d’ossigeno. I nuovi medici stanno arrivando, dice la Regione, ma è difficile che siano subito operativi: «Servono rinforzi sul campo, ma anche nelle amministrazioni e nel coordinamento, servono persone che sappiano organizzare e accelerare i nuovi protocolli. Chi sarà operativo, è chiaro, non avrà tempo sufficiente per completare le formazione o acquisire tutte le competenze, gli unici corsi che si svolgono in presenza riguardano la vestizione e la svestizione, ma non possiamo farci nulla. Faticano anche i medici esperti che danno una mano. È una situazione d’emergenza, come quelle dell’assenza di tanti medici specialisti».

Intanto, chi è già operativo non si tira indietro: «Ho visto tanta disponibilità – conclude Corrado Casula – e la capacità di entrare nella tragedia per dare una mano. Ci sono stati colleghi che hanno contratto il virus, altri fanno turni massacranti. È il nostro lavoro, non ci lamentiamo».

E chiaro che ci fosse il tempo a disposizione per azzerare ogni tipo di ritardo. Non è successo ma, lo dicono gli stessi medici, si può ancora intervenire.

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