La Nuova Sardegna

Sul fronte del contagio aspettando i rinforzi

di Gianni Bazzoni
Sul fronte del contagio aspettando i rinforzi

Sassari, al pronto soccorso si fanno i conti con organici insufficienti e rischi Ma qualche nota positiva c’è: «Dopo le denunce pubbliche ci danno ascolto»

24 novembre 2020
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SASSARI. Tre medici e tre infermieri positivi Covid al Pronto soccorso di Sassari. É l’ultimo bollettino interno, il conto che paga chi sta tutti i giorni in prima fila, a fronteggiare l’emergenza in una condizione di forte criticità. Spesso trascorrendo molte ore in un ambiente dove ammalarsi è più facile. Il problema è lo stesso, lo vanno ripetendo da sempre gli operatori sanitari: gli organici sono insufficienti, serviva (e serve) un potenziamento reale: «Tutti speriamo che la curva cali – raccontano dal fronte della struttura di emergenza-urgenza – ma al momento siamo chiamati a fronteggiare un superlavoro. E non basta chiamare dalla lista qualcuno ogni tanto e sperare che possa immediatamente lavorare qui. Non è possibile, lo sanno bene in azienda. Chi arriva è sempre benvenuto, ma ci vuole tempo per rendere i nuovi pienamente operativi». La richiesta è quella di spostare medici e infermieri esperti: «Cosa ci vuole a farlo? Quando dovevano aprire i “reparti Covid” lo hanno fatto in un giorno. E adesso perchè no? Perchè per il Pronto soccorso che è la porta principale (ma anche la più critica perchè l’accesso non è mai stato distinto come le esigenze richiedono) non si interviene con una azione altrettanto decisa e mirata?».

Il clima resta di forte tensione al Pronto soccorso di Sassari, e anche i piccoli miglioramenti che ci sono stati nell’ultimo periodo sono serviti solamente ad attenuare qualche sofferenza che ormai era oltre il limite di sopportazione. La situazione fa registrare qualche segnale di cambiamento: «Ci ascoltano, o almeno sembra: dopo le denunce, lo spazio importante che la Nuova ha dedicato alle segnalazioni partite dal di dentro e che finalmente sono arrivate all’esterno in tutta la loro drammaticità, qualcosa si sta muovendo. Ma è un passo lento, troppo. Le lenzuola appese alle finestre e la clamorosa protesta, le tante manifestazioni di solidarietà sembrano avere tracciato una nuova strada. Ora c’è una lettera dell’azienda, nuove linee guida: ci viene spiegato come dobbiamo lavorare e quante persone (forse) arrivano. Intanto però, nell’attesa, si va avanti così. E noi ci ammaliamo perchè non si riesce ad abbattere con provvedimenti immediati i rischi di contagio».

C’è anche un piano che viene dal basso. Ha lo scopo di dare risposte organizzative a un numero elevato di pazienti affetti da Covid-19 sospetti o accertati in Pronto soccorso. Si punta a contenere il rischio di contagio all’interno del Ps e dei vari reparti di alta specialità Covid -free, avere una migliore organizzazione interna «della struttura del Ps secondaria al prolungamento dei tempi di attesa pre-ricovero per difficoltà nel reperire posti letto nei reparti Covid».

Tra le proposte figura quella di implementare il pre-triage con un ulteriore filtro e di creare una strutturazione del Pronto soccorso in aree funzionali: sfondo rosa, isolamento per pazienti positivi al test Sars-Cov2 (percorso sporco); sfondo celeste, pronto soccorso per pazienti non sospetti per Sars-Cov2 (percorso pulito). Un discorso a parte il piano lo dedica alle dotazioni (necessarie per il percorso pulito e le altre per il Covid), si parla di barelle, ecografi multidisciplinari, monitor, dispositivi Cap, ventilatori, bombole di ossigeno. I numeri sono chiari: un medico ogni 10 pazienti residui, uno ogni 10 nuovi accessi. Quindi per 40 pazienti servono 4 medici per turno e 50 infermieri esperti per una turnazione minima. Ci sono punti critici da ottimizzare e il piano è dettagliato, comprende anche la creazione di un protocollo condiviso «che garantisca una continuazione terapeutica tra le Usca territoriali e il medico del Pronto soccorso. Fondamentale nella fase di dimissione dei pazienti che non necessitano di ricovero e di quelli che si “autodimettono” e per i quali serve un monitoraggio clinico a domicilio». Insomma, il piano c’è e arriva dalle esperienze maturate in tanti anni di emergenza: ora serve un confronto serio e costruttivo. Ascoltare, valutare e decidere. Così si lavora per uscire da una crisi durissima.

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