La Nuova Sardegna

Se il teste è un convivente può mentire ai magistrati

di Mauro Lissia
Se il teste è un convivente può mentire ai magistrati

Accolto dai giudici supremi di Roma il ricorso di un’avvocata cagliaritana Esente dal favoreggiamento il testimone che ha un legame reale con l’imputato

28 novembre 2020
3 MINUTI DI LETTURA





CAGLIARI. Nel processo penale il convivente dell’imputato ha diritto di testimoniare il falso senza incorrere nel reato di favoreggiamento personale esattamente come un familiare. Quindi davanti al giudice il rapporto sentimentale conta quanto quello formale. L’ha stabilito con una sentenza depositata il 26 novembre la Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso presentato dall’avvocata cagliaritana Daniela Cicu e discusso in aula dal collega Pierluigi Concas. La decisione è stata assunta dalle Sezioni unite penali, quindi d’ora in poi qualsiasi giudice in Italia dovrà uniformarsi alla valutazione del collegio presieduto da Margherita Cassano con Giorgio Fidelbo nella doppia veste di relatore ed estensore. Per gli operatori della giustizia e per chi si trova coinvolto in un procedimento penale si tratta di una sentenza di grande interesse perché chiude un contrasto giurisprudenziale con forti connotazioni sociali vecchio di decenni e complicato nel 2016 dalla legge Cirinnà, che ha regolato le unioni civili tra persone dello stesso sesso ma ha lasciato fuori le convivenze non formalizzate con la registrazione.

L’origine del ricorso ai magistrati romani di piazza Cavour è stata un incidente stradale con feriti avvenuto nove anni fa a Gonnesa: alla guida dell’automobile responsabile del sinistro era un uomo senza patente, ma per salvarlo da una condanna che s’annunciava pesantissima la sua convivente disse ai carabinieri che al volante c’era lei. Non era vero e per questo venne riconosciuta colpevole di favoreggiamento personale e condannata anche in appello. Ma chiusi i giudizi, la donna ha rivendicato attraverso i suoi legali l’esimente dell’articolo 384 del codice penale, che prevede il diritto di astenersi dalla testimonianza e anche di mentire in giudizio per non danneggiare dicendo la verità un familiare imputato di un reato. Quel diritto però è riservato ai “prossimi congiunti” e la legge non comprende fra questi le persone conviventi more uxorio, cui le norme non l’hanno mai esteso per la mancanza del vincolo coniugale. La legge civile esclude qualsiasi diritto alle coppie non registrate, quella penale è stata applicata negli anni in modo ondivago e le pronunce della Cassazione, precedute e seguite da quelle della Corte Costituzionale, hanno seguito linee diverse: da una parte - aveva scritto il giudice estensore Angelo Capozzi - «l’esigenza della repressione di delitti contro l’amministrazione della giustizia, dall’altra la tutela di beni afferenti la vita familiare». Così, se la Corte Costituzionale ha ritenuto «non illegittima l’esclusione dal novero dei soggetti indicati dall’articolo 384 (quelli non punibili anche se mentono in giudizio, ndr) del convivente di fatto, giustificando il diverso trattamento delle diverse situazioni» la Grande Camera della Corte di Strasburgo ha bocciato l’obbligo di testimonianza in procedimenti penali a carico del convivente, con la negazione - come avviene in Italia - della facoltà di astensione riconosciuta al coniuge e convivente registrato. Insomma, il caso sollevato dai due avvocati cagliaritani ha riaperto e riportato all’attenzione generale una questione importante sul piano giuridico perché incide sull’andamento dei procedimenti penali, ma forse ancora più importante sul piano sociale perché l’estensione dell’articolo 384 ai conviventi non registrati segna un punto a favore di chi sostiene il primato del rapporto sentimentale sui formalismi talvolta incomprensibili della legge.



In Primo Piano

Video

I consiglieri regionali Piero Maieli e Gianni Chessa si autosospendono dal gruppo del Psd'Az

Le nostre iniziative