La Nuova Sardegna

Paura, lacrime e solitudine nella lotta contro il Covid

di Luigi Soriga
Paura, lacrime e solitudine nella lotta contro il Covid

Sassari, i racconti dei volontari del soccorso impegnati nel trasporto dei pazienti

30 novembre 2020
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SASSARI. I volontari del 118 che entrano in una casa bardati, sono protetti dal virus, ma la paura di morire delle persone la respirano eccome. È densa e silenziosa. E non c’è protezione o dpi che possa filtrarla.

Il covid ha ridisegnato le emozioni nei volti. Prima leggevi la gioia da un sorriso, o la tristezza da un labbro arricciato. Ora la mimica dei sentimenti è sepolta la sotto le mascherine, e sono solo gli occhi a parlare. Dicono tante cose, a saperli leggere.

Chi va a prendere un positivo a casa per portarlo in ospedale, ha imparato a scavare negli sguardi. Spesso vorrebbero essere sguardi leggeri, che sanno di arrivederci, ma che nel doppio fondo nascondono il peso di un addio. C’è quella situazione di non detto, il momento terribile del distacco, la sensazione di ignoto, la paura di varcare la porta e non poter più tornare indietro.

Federico Pintus dirige la Croce Blu di Sassari. Racconta: «Siamo andati in un palazzo del quartiere di Luna e Sole, terzo piano. C’era la classica famigliola: due anziani, marito e moglie, sugli ottanta, e poi i due figli. Entrambi gli anziani avevano contratto il virus, lei stava male, saturazione bassa, aveva fame d’aria. Lui tosse, ma sintomi lievi. Dobbiamo caricarla in ambulanza e portarla in ospedale».

Sono ancora una volta gli sguardi a dire tutto, a raccontare un amore lungo una vita. «Lui ha gli occhi lucidi, non riesce a dire una parola». Osserva in silenzio la moglie che viene incellophanata come un pacco da spedire all’ignoto, non sa come comportarsi, non potrà accompagnarla in questo viaggio, è tutto così asettico, distanziato. Resta immobile con gli occhi umidi. La moglie invece sembra forte, o almeno così vuol far vedere. La caricano sulla barella, e stanno per uscire. E lì gli sguardi si incrociano, e ciò che si scambiano nel silenzio, è questo: «Ma guarda tu, siamo arrivati a ottant’anni fianco a fianco, mano nella mano, sopportandoci una vita, e dev’essere proprio questa merda a separarci». Poi lui non ce la fa, esce, si affaccia sul pianerottolo, e le appoggia un bacio sulla guancia. Le sussurra: «Torna presto, ti aspetto». Gli occhi di lei sorridono di tenerezza. Poi, in ambulanza, chiederà ai volontari: «Tornerò da lui? Vero?».

I vecchi, bisogna maneggiarli con cura, come gli oggetti delicati e preziosi, che il covid rende ancora più fragili. Scrive sulla sua pagina Facebook Antonio Pintus, medico di Malattie Infettive dell’Aou di Sassari: «Una delle cose che più mi ha colpito e mi fa tenerezza, sono le persone anziane che vengono ricoverate in reparto covid. Di colpo si trovano dalla quiete della loro casa, magari in qualche piccolo paesino della Sardegna, in una camera bianca e fredda, piena di luci, monitor, apparecchi che sembrano da fantascienza, in mezzo a persone vestite in tuta come astronauti, ti guardano smarrite e rassegnate, ti chiedono di farli tornare presto a casa. Poi gli chiedi se possono lasciarti il numero di telefono di un familiare e porgono a te il loro vecchio cellulare, modelli superati, che in epoca di smartphone e digitale non sai nemmeno più usare. Cerchi nelle rubrica e trovi quasi sempre solo tre o quattro numeri: figlio, figlia, quando ancora lo hanno il marito o la moglie, e in quei momenti ti guardi col collega e l’infermiere e la maschera e lo sguardo si annebbiano per un momento e ti smarrisci un po’ anche tu....».

Riemergere alla vita dopo 20 giorni, da quel liquido amniotico della terapia intensiva, deve essere una boccata d’aria troppo grande per i polmoni affaticati, un travaso di felicità che l’anima non contiene. Per i volontari della croce blu Elisabetta, Veronica e Federico, le dimissioni, riconsegnare un paziente ai propri affetti, sottrarlo al flusso quotidiano di lutti, è una vittoria.

«Eravamo in ascensore – raccontano – e con noi c’era una signora di 65 anni. Era appena stata dimessa, la stavamo portando a casa. Quando abbiamo pigiato il tasto e si sono chiuse le porte, lei è scoppiata a piangere. Era un pianto incontenibile, liberatorio, che si portava via tutta la paura e ci mischiava anche la gioia. C’era tutto in quelle lacrime. Era un pianto così potente che non siamo riusciti a dire una parola. Siamo rimasti zitti a guardarci, commossi, piangendo di nascosto sotto le visiere».

Il covid ci prova a disinfettare i gesti di affetto. Quando tocchi con mano la sofferenza, un sorriso e una carezza sono la prima medicina. La somministrazione ora è più complicata. Francesco Gambella, 46 anni, volontario per il 118 di Olbia, ha tante missioni umanitarie alle spalle, prima con Emergency e poi con Amref: «In Africa ho visto ebola, il colera, la lebbra – dice – ma nulla è così surreale come il covid. Perché alla sofferenza e alla paura di morire ci aggiunge la solitudine. Quando muori è un medico a starti accanto, non tua moglie o tuo figlio. Questo salto nel vuoto spaventa molto, e gli occhi delle persone lo dicono. Soprattutto negli anziani si percepisce una consapevolezza diversa, mettono in conto tante cose. Quando vengono ricoverati non dico che sono rassegnati, ma ci pensano. Vorresti allungargli una carezza, dargli un buffetto, ma il covid non te lo consente». Ci sono le parole, una battuta, ma non è mai la stessa cosa. Il covid rende tutto dannatamente più pesante, toglie l’aria non solo ai pazienti. «Quest’esperienza in qualche modo ti segna». E non è un caso che molte associazioni si siano rivolti a uno psicologo per dare supporto ai propri volontari. «Non prendo un centesimo – dice Gambella – regalo giorni e ore della mia vita, le sottraggo a mio figlio, e questo tempo nessuno me lo restituirà. Lo faccio perché sento che va fatto, e non posso farne a meno. Ma quando leggo le amenità dei negazionisti e dei complottisti, la saturazione mi sale a 200. Bestemmiano sulla vita delle persone».

Poi però riaccompagni l’anziana ottantenne a casa, al terzo piano di Luna e Sole, che ce l’ha fatta davvero. E ad aspettarla c’è il marito, che non ha più la tosse, ma sempre gli occhi lucidi. E un bacio, anche se in lontananza, fatto volare con la mano, per i volontari c’è sempre.

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