La Nuova Sardegna

Le altre vittime del Covid in Sardegna, a secco i conti dello sport

di Andrea Sini
Le altre vittime del Covid in Sardegna, a secco i conti dello sport

Piangono le grandi società come Cagliari e Dinamo, con perdite dai 3 ai 10 milioni. Ma la crisi travolge soprattutto le realtà piccole e medie per la fuga degli sponsor 

03 dicembre 2020
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SASSARI. La lunga notte del Covid è senza luna e i riflettori spenti di campi e palestre non fanno altro che rendere il buio più impenetrabile. Nell’anno nero del coronavirus, lo sport ha visto saltare letteralmente in aria i punti di riferimento di due stagioni (tutta la seconda parte del 2019-’20 e, per ora, buona parte del 2020-’21) e ora naviga a vista con la certezza che le basi del futuro a medio termine sono crollate.

L’isola annaspa. Anche in Sardegna, come nel resto del Paese, il lockdown di inizio primavera ha congelato campionati e competizioni, e soltanto lo sport professionistico di più alto livello è riuscito – pur con grande fatica e con accesso limitato agli impianti – a chiudere la stagione in fretta e furia durante l’estate. E negli ultimi mesi le varie competizioni avviate tra settembre e ottobre, hanno finito per scontrarsi contro il muro dei contagi e dei divieti. Ma quanto sta costando alle società sportive isolane questa situazione “lunare”, con le attività giovanili e le discipline dilettantistiche ferme, e con pro e semi-pro che vanno avanti senza pubblico?

Ricchi, ma non ricchissimi. Le due società di punta dello sport isolano, il Cagliari calcio e la Dinamo basket, avendo i bilanci più sostanziosi sono i club che sono andati incontro alle perdite maggiori, almeno dal punto di vista assoluto. In entrambi i casi, la base di partenza solida, con i conti sostanzialmente a posto, ha permesso a entrambe le realtà di non farsi travolgere dalla tempesta. Se le rinunce a livello economico fatte dagli atleti hanno alleggerito il peso delle voci in uscita, son comunque aumentati i costi per il rispetto dei protocolli e delle misure di sicurezza sanitarie.

Cagliari a galla. I rossoblù del Capo di sotto hanno affrontato l’ultima fetta della scorsa stagione (6 gare interne) senza poter vendere biglietti, mentre il merchandising si è fermato. Danno stimato: 3 milioni di euro. «Nella corrente stagione – dice l’ amministratore delegato Carlo Catte – non si è potuta avviare la campagna abbonamenti, ma neanche il ticketing e la corporate hospitality: la perdita complessiva in questi settori è di circa 7 milioni. E intanto sono aumenti i costi, legati all’applicazione dei protocolli e delle nuove procedure: in questa situazione si fa tutto il possibile per massimizzare l’efficienza dell'organizzazione, ma da sola la società non può farcela». Il merchandising ha intanto ripreso vigore grazie al nuovo sponsor tecnico (Adidas), ma si viaggia sempre intorno al 50% rispetto al passato. L’ancora di salvezza, in questo caso, è in buona parte rappresentata dai diritti tv, che garantiscono dai 35 ai 40 milioni a stagione.

Spicchi di Dinamo. Chi fa degli introiti del botteghino una colonna portante del proprio bilancio è la Dinamo. Un “sold out” costante per le partite di campionato, con quasi 5 mila spettatori e un’iniezione di oltre 80 mila euro a partita, che sfiorano i 100 per le gare dei playoff. Oltre a questo, c’è la moneta sonante garantita dalle evolutissime attività collaterali: il Dinamo Store del PalaSerradimigni (ma ci sono anche i punti vendita di Cagliari e degli aeroporti di Alghero e Olbia) e la Club House di via Nenni, che ovviamente raggiungono i picchi d’incasso in occasione delle partite. Tutto evaporato. Già a fine marzo Stefano Sardara aveva parlato di uno “scherzo” da 2 milioni di euro. «In quella fase l’abbiamo sfangata con le nostre forze – dice il presidente – ma ora che siamo entrati nella seconda stagione senza pubblico il danno è quantificabile in circa 3,5 milioni». Senza contare che la Dinamo femminile, impegnata a sua volta nella serie A1, nelle prime due gare aveva fatto registrare mille spettatori (il massimo consentito), prima di dovere a sua volta chiudere le tribune. La società ha deciso di tamponare le falle spalmando la perdita nei prossimi anni, ma se la pandemia durerà ancora a lungo, per non mettere in discussione la sopravvivenza stessa del club sarà necessario ben altro.

Il mondo di mezzo. Là dove il botteghino ha un peso specifico nullo o quasi per le casse societarie, la struttura del club di solito si regge sulle sponsorizzazioni. Ma la crisi che sta travolgendo anche le aziende, ha portato alla chiusura dei rubinetti che innaffiano e tengono in vita le medie e piccole realtà sportive. A prosciugarsi, è di conseguenza un fiume di rimborsi per atleti, tecnici e personale vario, che in molti casi costituiscono una fetta importante delle entrate che garantiscono la sussistenza a migliaia di famiglie.

Vivai aridi. Un altro flusso di denaro imponente che si è interrotto è quello legato ai settori giovanili. Nelle scuole calcio ogni famiglia sborsa dai 300 ai 500 euro all’anno per il proprio figlio. Nelle altre discipline le cifre non sono molto differenti, ed è dunque sufficiente moltiplicare quella cifra per le migliaia di giovani che fanno attività sportiva, per trovarsi di fronte a svariati milioni di euro che si sono fermati lontano dalle casse delle società.

Il paracadute. A fine settembre la giunta Solinas ha messo a correre circa 5,2 milioni di euro, come sostegno forfettario a fondo perduto per tutte le società e associazioni sportive dilettantistiche dell’isola, basato sul riconoscimento del ruolo sociale svolto nel territorio da chi fa sport. Altri tipi di ristori sono in fase di definizione da parte della stessa Regione per i top team, e dalle singole federazioni per le altre società. Ma la sensazione è che, senza aiuti strutturali al mondo dello sport, a pandemia finita, si dovrà fare la conta dei “caduti”.

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