La Nuova Sardegna

Anni ’50: trionfa la pasta e arriva il frigorifero

di Giovanni Fancello
Anni ’50: trionfa la pasta e arriva il frigorifero

Un decennio di transizione: in Italia la cucina è ancora  casalinga e basata sui prodotti di stagione. Intanto  nascono la grande industria alimentare e i supermarket

04 dicembre 2020
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Qualche settimana fa abbiamo raccontato come si mangiava negli anni ’70, decennio caratterizzato dall’avvento dei surgelati. E vent’anni prima che cosa c’era sulle tavole degli italiani? Negli anni ’50 del secolo scorso, un cibo accomunava ed identificava l’intero Paese. Comparvero varie tipologie, dalla pasta ripiena, alle lasagne, agli spaghetti, bucatini, maccheroni, penne; il tutto condito con salsa al pomodoro o burro e salvia. Nel dì di festa le portate erano più succulente, la pasta si condiva con il ragù e il pranzo, dopo il secondo di carne, finiva con il formaggio. Erano le gustose frittate con prezzemolo, con piselli o patate, il riso al latte, le patate prezzemolate, il minestrone, la minestra in brodo, la polenta, le zuppe di ceci o di fagioli, a cadenzare invece il menù quotidiano, e guai a buttare gli avanzi, tutto si riciclava. Erano gli anni del secondo dopoguerra, durante il quale il nostro paese, benché minato da lunghi anni bellici, riuscì a mettere le basi per diventare una delle nazioni più industrializzate dell’Occidente. Furono gli anni del miracolo economico, del sostanziale aumento del benessere e della repentina crescita demografica. La gente iniziava ad abbandonare le campagne e a spostarsi verso i centri urbani; dal Sud si emigrava in massa verso il Nord industrializzato. Nonostante l’urbanizzazione, è ancora lontano il cibo surgelato e ogni prodotto si consumava nella propria stagione: piselli, fave e lattughe in primavera; d’estate: melanzane, pomodori e zucchine. Predominava la cucina casalinga e l’unica trasgressione era la trattoria. La fame si era convertita in un robusto appetito. La colazione diventò abbondante con una buona tazza di latte e pane inzuppato. In questi anni di evoluzione e cambiamento, l’alimentazione è totalmente basata su prodotti locali, stagionali e freschi, vuoi per un cocciuto radicamento alla tradizione, ma anche perché mancava una efficiente rete stradale che collegasse l’intera penisola, che non consentiva facili commistioni alimentari: il panettone natalizio era una rarità per i meridionali; il pesto era solo ligure, e la pizza solo napoletana. Si producono i primi elettrodomestici: il frigorifero, senza congelatore, viene messo in commercio dalla Fiat, ed è oggetto di venerazione da parte di tutte le casalinghe. Arrivano sul mercato poi, la macchina da caffè, il frullatore, e il tostapane.

Nasce l’industria alimentare: i pastifici artigianali scompaiono, assorbiti dalla Buitoni e dalla Barilla. Lo stesso destino lo subiscono i piccoli salumifici, arriva la Citterio che offre e confeziona gli affettati in comode vaschette sottovuoto. Il primo Supermarket apre a Milano nel 1957, dove si può facilmente acquistare: il pomodoro in tubetto, i Bucaneve Doria, il panettone Motta, i dadi da brodo, le minestre in barattolo, le scatolette di carne Simmenthal e gli americani crackers. Si iniziano ad abbandonare stili nutritivi secolari, progressivamente i prodotti di consumo diventano sempre più standardizzati e meno artigianali. Ed è sempre in quegli anni che il fisiologo e biologo statunitense, Ancel Keys, conduce i primi studi sull’influenza che una sana e corretta alimentazione ha sulle malattie cardiovascolari. Si trasferisce nel Cilento, e studia per diversi anni l’alimentazione della popolazione contadina locale che lo porta a coniare un termine “dieta mediterranea”. Una dieta che apporta benefici alla salute, grazie al suo equilibrato consumo di frutta, verdura, cereali, latticini, olio d’oliva, pesce e poca carne. Anni gravidi di avvenimenti, densi di stimoli, di cambiamenti, a rileggerli oggi, sono forieri di corsi e ricorsi storici densi di attualità.

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